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Vecchio 17-07-2017, 22:50   #134
Fagòt
Il TRANS africano 2
 
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28° giorno: Erzurum – Goreme 707 km.

I caloriferi sono rimasti accesi tutta la notte e tuttavia ho apprezzato il caldo piumone del letto. Caccio fuori il muso dalla finestra e malgrado il cielo sereno e il sole, l’aria secca e pungente mi fan capire che sarà il caso di prendersela con calma. Molta calma.
Non ho mai visto la Turchia per cui ogni strada sarebbe stata nuova per me e con questi presupposti avevo valutato la via sul Mediterraneo scendendo dal lago di Van, scartata a priori per via del fatto che mi era venuta anche l’insana idea di vedere i territori kurdi , e quella sul mar Nero, scartata pure quella perché soggetta a temperature più basse.
Di Istanbul in questo rientro non mi fregava nulla, in 3 gg. dall’Italia ci puoi arrivare, per cui non mi rimaneva che la via centrale. Guarda caso non volevo perdermi la Cappadocia e Pamukkale. Per cui via centrale sia, anche se non è proprio la più corta di tutte.
Alle nove giro il quadro e la moto segna un idilliaco +1. Proviamo. Inutile dire che appena uscito dalla città il termometro crolla… -1 -2 -3 -4 e da lì non si muove. Zio pork siamo a circa 1700 metri di altezza in una valle lunga una 30a di km., circondata da montagne innevate! Dovremo pur scendere prima o poi? Le lucertole non amano queste temperature, preferiscono crogiolarsi sotto i raggi solari solo quando questi sono già alti nel cielo. 90 km così, con la certezza che la mia igiene mentale sia profondamente corrotta nell’insistere a proseguire. Giuro adesso mi fermo: cerco di togliere le mani congelate dalle manopole, arranco con le gambe piegate in due dalla mancanza di sangue che cerca ostinatamente di arrivare al cervello bacato e mi sdraio su una roccia. Che quello è il mio posto.
Ci pensa invece l’ennesimo controllo di polizia e militari a fermarmi. Han cominciato a rompere i cabbasisi già ieri da Dogubayazit, la prima cittadina dopo il confine. Dall’autoblindo il militare con la mitragliatrice non mi perde d’occhio, mentre lentamente scendo e passo i documenti ad un tipo in borghese circondato da altri militari pesantemente armati. Offro una sigaretta mentre perquisiscono le borse piene di ciarpame e con enorme sorpresa riescono a rompere due miti in un colpo solo: i turchi e i militari dei check non fumano più come turchi e militari dei check. Ha sempre funzionato, è un modo come un altro per rompere la tensione, familiarizzare chiamatelo come volete. Qui no. Tutto quello avvenuto lo scorso anno a luglio ha cambiato radicalmente le cose e di conseguenza questi in servizio devono mantenere un certo rigore ed una certa distanza se non vogliono fare la fine di tutti quegli altri epurati. Me lo ripeto con insistenza ed è l’unico modo per giustificare la simpatia pari a quella di un gatto attaccato ai maroni. Congelati per altro.
150 mt. dopo una stazione di servizio. Finalmente un chai bollente, anzi più d’uno che qui appena vedono il bicchiere vuoto te ne portano un altro. Fumo qualche sigaretta in compagnia di due camionisti che mi chiedono da dove arrivi. Ecco quelli non ti deludono mai… compagni di strada ovunque ti trovi appena ti vedono nello specchietto si spostano di lato oppure mettono la freccia a sinistra per indicarti di aspettare che sta arrivando qualcuno e quando li passi alzando la mano a ringraziare ti rispondono con le loro trombe, come a dire “Vai, buona strada! Ci vediamo da qualche parte su una statale per bere una cosa insieme.” Smetto di tremare dopo mezzora.





La quota comincia ad abbassarsi lentamente con la neve che lascia il posto a cime brulle. Di primavera manco a parlarne e l’Anatolia fino a Sivas m’è già venuta a noia. Piccoli centri rurali che si riconosco o si definiscono tali solo perché una piccola moschea dalla cupola sbiadita con a fianco due minareti si erge nel centro, per il resto decine e decine di km. di strada ben tenuta che si snoda lungo valli tutte uguali, con piccole catene montuose senza velleità alcuna. In compenso la temperatura è tornata decente e stare a 10/12° mi consente di alzare un pochino il ritmo.
Così proprio mentre cala il sole mi affaccio sulla Cappadocia e i suoi venti gradi. Valeva davvero la pena di battere i denti questa mattina per vedere questo spettacolo. Gironzolo tra i sentieri per trovare un posto decente in cui scattare qualche foto e basta veramente spostarsi di pochi metri per avere l’imbarazzo della scelta. Poi faccio una ricerca con booking e scelgo una guest house tra le oltre 230 offerte. 5 minuti dopo squilla il telefono. Arrivo! Sono a duecento metri. Neanche il tempo di cercare la via… volevano prepararmi un chai.















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Abbi cura del tuo ospite che dio veglierà su di te nel deserto.

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