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Vecchio 18-10-2023, 10:18   #1
Massimo
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predefinito MONGOLIA CON MOTO A NOLEGGIO (report)



PREMESSA

La Mongolia evoca nell’immaginario collettivo, alimentato dalla ricca documentazione disponibile, l’idea di spazi sconfinati, isolati e scarsamente popolati ed è un paese che ben identifica forse il più tipico paesaggio asiatico, costituito da infinite praterie e steppe semidesertiche.

Semplicemente guardando i vari documentari naturalistici, periodicamente proposti sul piccolo schermo, o ricercando il materiale disponibile su internet, il viaggiatore che desidera avventurarsi da queste parti, alla ricerca di ambienti sempre più diversi e lontani dal proprio habitat domestico, si può rendere facilmente conto di ciò che lo attende.

Questo non significa però che un viaggio in Mongolia sia uguale (e, oserei dire, scontato) indistintamente per tutti: la differenza, a parità di paesaggi e itinerario, la fa infatti il mezzo utilizzato.

Quando leggo di turisti che raccontano le proprie avventure mongole, ma che si sono serviti di tour organizzati, con pulmini, jeep, autisti e guide, ed usano frasi del tipo “abbiamo visto questo… siamo andati in tale o talaltro posto” e via dicendo, mi viene da sorridere perché in realtà dovrebbero dire “ci hanno portato, ci hanno fatto vedere”.

Un conto, infatti, è farsi scarrozzare in comodità da un luogo all’altro, un conto è andarci con un mezzo proprio, guidandolo; e ciò a prescindere dallo strumento utilizzato, sia esso auto o moto.

E ciò per il semplice motivo che, soltanto guidando direttamente, e meglio ancora in autonomia, ci si rende compiutamente conto dell’ambiente in cui ci si trova. E’ una sorta di immersione totale, fatta anche da difficoltà, fatica e determinazione. Solo così, a mio parere, la Mongolia ti entra dentro e soprattutto ti resta dentro, come in ogni viaggio dovrebbe accadere.

Intendiamoci, non si tratta di compiere alcuna impresa o avventura straordinaria, ma semplicemente di vivere un’esperienza lontana (anche geograficamente) dai luoghi comuni, ma ancor più lontana dalla presenza umana, dato che, al di fuori della capitale, non si incontra praticamente quasi nessuno. E questo, ai giorni nostri, è ormai un raro privilegio.

Una persona che stimo molto, giornalista, viaggiatore e motociclista, ha scritto che gli avventurieri non esistono più, perché non ci sono più luoghi sulla terra dove vivere avventure. Esistono (e siamo) solo turisti alla fine della fiera. Se ci pensate è vero, terribilmente vero; per cui anche la Mongolia è una terra turistica, lontana sì, ma pur sempre turistica.

Con questo non voglio dire che un viaggio in moto, in autonomia e senza mezzi di supporto, sia alla portata di tutti. Tuttavia la portata si misura soprattutto in termini psicologici o - se volete - mentali. Non c’è nulla di difficile (a parte qualche raro guado profondo o salita ripida su terreno infido), ma occorre mettere in conto le conseguenze dell’isolamento in cui ci si trova immersi, soprattutto se ci si avventura nel grande deserto del Gobi.

Una caduta o un guasto – ripeto se si viaggia in due (come abbiamo fatto noi) e senza mezzi di supporto – può diventare una situazione parecchio complicata da gestire. Cercare aiuto, su alcune tratte totalmente isolate, può richiedere indefinite ore di guida su piste in mezzo al nulla più assoluto. E chi resta, magari infortunato o con la moto in panne, deve gestire tutto questo tempo in completa solitudine, sperando che gli aiuti arrivino prima che faccia buio, cosa assai difficile da realizzare.

Con il senno del poi, è consigliabile essere in quattro, così in caso di emergenza, due partono e due restano; non di più perché la gestione delle emozioni e delle difficoltà di ciascuno – ripeto sempre senza mezzi di supporto – può risultare non sempre agevole. C’è poi chi ha la capacità, anche mentale, di muoversi completamente solo, ma si tratta di superuomini evoluti che posso solo ammirare, ma non imitare.

E sfatiamo la leggenda metropolitana che, in caso di problemi, si può chiedere aiuto a nomadi mongoli, sparsi lungo il percorso, che sono sempre ospitali e disponibili. Questo può essere vero solo dove ci sono i nomadi, ovvero per le prime centinaia di chilometri a sud di Ulan Bator, dove esistono pascoli verdissimi con pecore, mucche, cavalli e yak; ma ciò non accade nel deserto, dove i nomadi non ci sono perché non hanno alcun motivo per esserci.

Per cui, in caso di necessità, nel Gobi duro e puro bisogna arrangiarsi.

Altro discorso invece per chi partecipa a tour motociclistici organizzati, con tutta l’assistenza necessaria: in tal caso la cosa è veramente alla portata di tutti perché ci sono altri che pensano a tutto. Personalmente non sono attratto da esperienze di tal fatta e quindi mi astengo da ogni commento.

Ciò detto, perché ci è venuta in mente la Mongolia?

Alberto ed io stavamo ipotizzando un giretto semplice e avevamo messo gli occhi sul Laos o il Vietnam, poi, quasi per caso, uno dei due ha buttato lì la parola magica: Mongolia. E ora siamo qua a raccontarvela.

E devo dire che abbiamo fatto bene e fareste bene anche voi ad anticipare il viaggio, se vi frulla l’idea di farlo. Questo perché, pian piano, l’asfalto sta prendendo piede un po’ ovunque. Credo che nel giro di pochi anni, da quel che abbiamo visto e intuito, il trend sia quello di asfaltare le piste principali per renderle comode a misura di turista comodo. Chi ci ha preceduto una decina di anni fa, ha raccontato di piste che ora sono strade asfaltate. Per cui affrettatevi, prima che la Mongolia diventi Disneyland.

MONGOLIA: UN PO’ DI GEOGRAFIA

Da quel che ho letto in giro, ho l’impressione che la buona parte dei viaggiatori sappia gran poco della Mongolia, per cui vi do alcune elementari informazioni, giusto per collocarla con maggior cognizione sul nostro planisfero.

Innanzitutto ci troviamo nell’Asia orientale, una delle macroregioni dell'Asia, nel bel mezzo del confine tra la Russia e la Cina, gli unici due paesi confinanti.



Le dimensioni non sono certo trascurabili: la Mongolia misura in larghezza (da ovest a est) 2400 km e in lunghezza (da nord a sud) 1300 km; il tutto per la bellezza di un milione e mezzo di chilometri quadrati. In pratica è grande cinque volte l’Italia con una popolazione inferiore a quella della Toscana. Peraltro, diversamente da quel che si può pensare, la Mongolia è parecchio più piccola del Kazakistan.

Diciamo comunque che i 3,3 milioni di mongoli sono belli diradati: escluso il milione e mezzo che abita nella capitale, il resto ha a disposizione spazi davvero sconfinati, per cui mediamente un chilometro quadrato è occupato da meno di due abitanti. Se vuoi proprio litigare con qualcuno, devi andartelo a cercare!

Le principali aree di d’interesse sono sostanzialmente due: i Monti Altaj e il deserto del Gobi.

L’Altaj è un complesso sistema montuoso dell'Asia che si estende per circa 2000 km e che occupa, per quanto riguarda la Mongolia, la zona più occidentale. La cima più alta, il monte Belucha (4506 m) si trova però in territorio russo.

Il Gobi è invece un deserto vastissimo (un milione e trecento mila chilometri quadrati), che occupa anche parte della Cina settentrionale. L’escursione termica nel corso dell’anno raggiunge in alcune zone anche 80 gradi e in inverno nevica pure. E’ sostanzialmente una zona arida, con terreno sabbioso-ghiaioso compatto disseminato di rari arbusti bassi, in cui le ruote affondano facilmente. Provenendo da nord, e dunque da Ulan Bator, si avverte il suo inizio quando le verdissime praterie lasciano progressivamente spazio a questa terra arida e inospitale e quando spariscono le mandrie di cavalli e mucche e si cominciano ad incontrare solo cammelli.

Le dune di sabbia sono principalmente circoscritte, a quanto mi risulta, ad una parte ridotta (chiamata Khongoryn Els) della sterminata superficie desertica del Gobi: una distesa lunga 80 km per 5 km di larghezza e 100 metri di altezza. Naturalmente sono l’area più gettonata turisticamente e sono state anche il punto topico del nostro viaggio.

Altaj e Gobi richiedono due viaggi a parte, date le distanze. Noi abbiamo optato per il deserto, ma da quel che abbiamo potuto intuire l’Altaj, seppur completamente diverso, è una meta assolutamente meritevole di essere visitata, anche se, per logistica e quant’altro, è meno agevole da organizzare.

Al di là dell’inflazionato e banale slogan turistico per eccellenza (“Mongolia, la terra del cielo blu”… come se nel resto del mondo fosse di un altro colore), da queste parti un salto prima o dopo bisognava farlo e, con il senno del poi, posso dire che il cielo (quando è limpido) è effettivamente blu, ma è soprattutto alla notte che lascia sbalorditi, quando si accende di stelle che dalle nostre parti ci sogniamo di vedere.

IL PERCORSO

Il nostro viaggio ha seguito il percorso classico ad anello con partenza e arrivo a Ulan Bator, la capitale del paese. Abbiamo scelto il senso anti orario, per poter affrontare subito la parte più impegnativa e tenerci per ultima, come rientro, la parte più noiosa e monotona, ma anche più agevole in quanto asfaltata, in caso fossimo in ritardo.

Qui vedete il percorso seguito e la sua collocazione nell’area dell’Asia Orientale.



E qui vedete il percorso più in dettaglio, sia su mappa che su satellite.





Complessivamente abbiamo percorso 2263 km, di cui 943 km sterrati (42%). L’intenzione originaria prevedeva di rientrare in tre tappe con due deviazioni sterrate, ma, veramente provati dalla stanchezza (e già appagati da ciò che avevamo visto), abbiamo deciso di accorciarla in due tappe solo asfaltate.

Si tratta, in buona sostanza, del percorso che affrontano praticamente quasi tutti i tour organizzati, soprattutto quelli automobilistici, perché tocca i luoghi di maggior interesse naturalistico e paesaggistico. Una sorta di “gita delle pentole”, tipo quelle con cui, negli anni ottanta, ti portavano in pulmann da Padre Pio, compreso pranzo offerto e dimostrazione non vincolante di batterie di pentole in acciaio inox 18/10 appunto.

A parte le pentole, è probabilmente il miglior giro da fare per la prima visita del paese e se lo fanno tutti ci sarà pure una ragione. Quindi nulla di così straordinario. Naturalmente nulla vieta di arricchirlo con varianti o deviazioni in zone ancor più remote, ma l’impressione che abbiamo avuto è che, fuori dal circuito classico, ci sia ben poco da vedere e soprattutto che non vada quasi nessuno.

Alla fine, come detto all’inizio, abbiamo fatto i turisti in moto, anche perché - stringi stringi - altro non siamo che turisti.

Per quanto riguarda lo sterro, dico subito che assai raramente si svolge su strade bianche come siamo abituati dalle nostre parti, ossia su un percorso ben delimitato e individuabile. Si tratta invece prevalentemente di piste, che sono cosa assai diversa.

Immaginatevi di avere un terreno libero e di poter passare dove volete (o dove vi viene più comodo) per andare da A a B, e che, dai e dai, a forza di passare si formino dei segni sul terreno. Ebbene, a lungo andare vengono a crearsi delle tracce più o meno parallele che possono occupare in larghezza anche un chilometro. Ne risulta una specie di autostrada immaginaria con un numero indefinito di corsie fatte di segni più o meno marcati: queste sono le piste.

La faccenda però non è così scontata, perché, in realtà, presa una di queste corsie (o tracce), non è detto che sia conveniente seguirla per tutta la sua lunghezza da A a B, a causa di fango, guadi, sabbia, ghiaione o soprattutto toulé ondulé che in sequenza si parano davanti. Pertanto è un continuo passaggio da una pista all’altra alla ricerca del fondo più agevole o, laddove non è possibile, è un continuo passaggio fuori pista, ossia su terreno libero anche se magari più sabbioso.

A forza di passare (e di scegliere il percorso migliore) il numero di piste aumenta di volta in volta, perché se ne creano di nuove ad ogni passaggio.

Va poi precisato che alcune di queste tracce parallele prendono, a tradimento, anche direzioni diverse, per cui occorre necessariamente disporre di un buon navigatore e una buona cartografia, ma soprattutto saperli usare bene, perché basta un attimo per sbagliare pista e trovarsi dove magari non si riesce più proseguire o distanti chilometri dalla direzione voluta.

Il terreno che abbiamo incontrato lungo il percorso è generalmente facile (nel senso che non richiede particolari capacità tecniche di guida e dunque risulta aprioristicamente alla portata di tutti), ma risulta faticoso, talvolta parecchio faticoso, per via del già citato toulé ondulé che prevale di gran lunga in termini quantitativi sul chilometraggio da percorrere.

Credo che tutti sappiano cosa è il toulé ondulé. Per chi non lo sapesse faccio un esempio banale: avete presente le onduline che vendono nei centri commerciali per coprire le verande? Ecco, immaginatevi di metterle in senso trasversale sulla strada e di guidarci sopra. Hai voglia a teorizzare sulla velocità di galleggiamento o di risonanza, ossia su quella velocità (di volta in volta variabile a seconda della moto, della distanza e della profondità degli avvallamenti); in pratica è tutta una vibrazione ritmica, fastidiosa e faticosa da gestire.

Il toulé ondulé si forma per l’azione del vento combinata al passaggio dei vari mezzi a quattro ruote che sfrecciano a velocità nemmeno immaginabili per le moto.

Abbiamo percorso anche 150 km filati di toulé ondulé in una sola giornata (tipo, per rendere l’idea, da Verona a Bolzano sulle onduline di Leroy Merlin) e ne siamo usciti veramente stravolti dalla fatica.

Abbiamo trovato toulé ondulé sabbioso, ghiaioso e di terreno duro… insomma per tutti i gusti. Ci sono poi brevi tratti su sabbia e altri su ghiaia smossa, talvolta in salita. Si incontrano anche solchi longitudinali, più o meno profondi, di sabbia, ghiaia e fango, come pure guadi e ancora fango.

Ripeto nulla di difficile, nemmeno per un inetto come me. Il terreno migliore, dove ci si sente veramente liberi, sono comunque i prati sconfinati, magari ricoperti di fiori, dove si guida ad cazzum, seguendo il proprio istinto: il fondo è soffice, le ruote tengono bene senza il rischio di scivolare… basta solo evitare qualche buca o sasso sporgente.

Guidare liberi sui prati dalle nostre parti è cosa assai rara (e credo pure vietata); in Mongolia invece potete togliervi la voglia senza preoccupazioni.

Comunque se mi dite Mongolia, la prima cosa che mi viene in mente è toulé ondulé. Credo di aver reso l’idea.

Dico anche che le tappe sono pressoché obbligate, nel senso che arrivano sempre in posti dove si trova da dormire. Scombinando il percorso può risultare difficile trovare sistemazioni. In ogni caso le tappe (a parte quelle in prevalenza asfaltate) non superano mai i 130-150 km giornalieri e sono dunque fattibili anche per i meno resistenti.

Come dicevo, abbiamo dovuto modificare parzialmente il percorso per la difficile o incerta transitabilità di alcuni tratti. Inoltre negli ultimi giorni l’abbiamo accorciato.

Con esclusione dei giorni necessari per arrivare e partire, per ambientarci e per fare il giro di test, abbiamo dunque impiegato complessivamente 11 giorni. Come vedremo, più avanti, se avessimo fatto tutto il giro programmato, avremo impiegato un giorno in più, cioè 12 giorni. Questi sono i tempi minimi necessari se si vuole arrivare fino alle dune di Konghorin Els, nel Gobi. In minor tempo, a mio parere, non è proprio possibile.

Per rendere meglio l’idea, nella mappa qui sotto è evidenziato in blu il tracciato effettivamente seguito, e in giallo le parti saltate o bypassate.



Qui sotto il grafico dell’elevazione. La quota minima è stata di 1000 metri, mentre quella massima è stata di 2400 metri. L’altitudine media è di 1500 metri, ma buona parte del percorso si mantiene al di sotto.



In altri termini il terreno è prevalentemente piatto e le salite sono sempre moderate. La Mongolia, e il Gobi soprattutto, sono sostanzialmente pianura.

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Massimo Adami
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Ultima modifica di Massimo; 19-10-2023 a 17:05
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Vecchio 18-10-2023, 11:30   #2
iteuronet
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ehm almeno io non vedo ne qui sotto ne qui sopra....piu in generale qui
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Vecchio 18-10-2023, 13:07   #3
zorba
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Seguo, nel frattempo complimenti per lo stile di scrittura, raro.
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zorba non è in linea   Rispondi quotando
Vecchio 18-10-2023, 14:27   #4
pacpeter
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Per me un sogno. Vediamo se leggendoti mi decido
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Vecchio 18-10-2023, 15:07   #5
stino
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Aspetto la continuazione,come al solito molto coinvolgente
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Vecchio 18-10-2023, 15:09   #6
essemme
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Vecchio 18-10-2023, 15:34   #7
ValeChiaru
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Preparpo i popcorn... qualcuno pensi alle birre che la cosa si fa interessante...
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Vecchio 18-10-2023, 22:43   #8
momi20
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Non riesco a vedere immagini : devo correggere qualcosa nelle impostazioni ?
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Vecchio 19-10-2023, 08:29   #9
indianlopa
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Massimo non si vedono le immagini, Momi credo che le tue impostazioni vadano bene...
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Vecchio 19-10-2023, 11:15   #10
Massimo
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Ragazzi sto cercando di risolvere. Ho notato che non si vedono più nemmeno le immagini di tutti i miei altri post precedenti. È un problema del sito hosting. Abbiate pazienza. Conto di risolvere a brevissimo.
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Massimo Adami
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Vecchio 19-10-2023, 11:35   #11
MacMax
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Complimenti per il viaggio, tanta (sana) invidia!
Che moto avete noleggiato?
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Vecchio 19-10-2023, 13:41   #12
Massimo
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Ora dovreste vedere tutte le foto, sia da pc, sia da cell, sia da app tapatalk. Se mi confermate vado avanti. Vi ringrazio e mi scuso.
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Vecchio 19-10-2023, 15:37   #13
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Tapatalk ok, grazie.


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Vecchio 19-10-2023, 15:58   #14
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pacpeter
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Si vede tutto, grazie!
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Il Giova
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Ho il dvd di transiberiana del Marco Polo team e ci andarono con i Gs1200Adv e una macchina a supporto. Subito furono affascinati dalle distese e gli sterrati ma dopo un pò si stancarono per la monotonia del territorio. Per cui non provo invidia e sinceramente ci sono cose più interessanti a mio giudizio. Il report comunque è ben dettagliato e interessante.
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Giò Katia Ale&Francy
Il Giova non è in linea   Rispondi quotando
Vecchio 19-10-2023, 17:01   #18
Massimo
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ubicazione: Verona
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COME ARRIVARE

Chi ha intenzione di girare da queste parti ha tre possibilità:

a) può ovviamente arrivarci via terra dall’Italia, ma il viaggio è lungo e laborioso e, se il tempo è poco, l’opzione è da scartare. La strada più corta prevede l’attraversamento in sequenza di Austria, Cechia, Polonia, Bielorussia e Russia; il tutto per la bellezza di 8.800 km.

b) può spedire la propria moto via terra a Ulan Bator. I polacchi di ADVfactory quest’anno non spedivano in Mongolia, per cui occorre trovare un altro vettore affidabile, cosa non semplice.

c) può noleggiare una moto in loco e raggiungere la capitale in aereo, con costi inferiori, ma con maggiori incertezze sull’affidabilità del mezzo meccanico. A nostro avviso questa è la soluzione decisamente migliore, sia per quanto riguarda i tempi che i costi. Inoltre consente di utilizzare il mezzo più idoneo allo scopo, anche se il meno performante. Sull’argomento dirò in dettaglio più avanti.

VOLI

A parte l’ipotesi a), vi servirà un aereo per raggiungere il punto di partenza, che è necessariamente la capitale del paese.

Allo stato attuale i voli via Russia tramite la compagnia Aeroflot Russian Airlines, che sono i più brevi, non risultano praticabili. Per cui l’unica soluzione alternativa è volare via Turchia con l’eccellente Turkish Airlines, che gestisce entrambe le tratte, la prima fino a Istanbul e la seconda fino a Ulan Bator (quest’ultima tratta è gestita di concerto con la compagnia di bandiera mongola, MIAT Mongolian Airlines, per cui potete volare anche su un aeromobile di quest’ultima, ma il tutto è gestito dai turchi).

Il vantaggio di volare con un'unica compagnia semplifica check-in e trasporto bagagli, pertanto non ha senso, a mio avviso, utilizzare compagnie diverse per risparmiare pochi spiccioli.

Prenotando con almeno 4-5 mesi di anticipo abbiamo speso 1.375 euro a testa, andata e ritorno, con franchigia bagaglio di 30 kg in stiva (che vi serviranno tutti).

La prima tratta dura circa due ore, la seconda quasi nove. Le attese all’aeroporto di Istanbul sono di 4-5 ore, ma è meglio così perché, in caso di ritardi, si evita di perdere la coincidenza. E poi anche perché allo scalo di Istanbul certo non ci si annoia.

Mettente in conto che da casa (in Italia) all’hotel (a Ulan Bator) abbiamo impiegato 26 ore tra una cosa e l’altra.

DOCUMENTI E VISTI

Per il transito aeroportuale in Turchia basta la carta d’identità. Per entrare in Mongolia serve il passaporto con validità residua di almeno sei mesi. Non è al momento richiesto il visto, ma verificate in anticipo semmai dovessero cambiare le regole.

Per guidare in teoria servirebbe la patente internazionale (convenzione di Vienna del 1968) che dura tre anni e si richiede alla Motorizzazione. Portate anche la patente nazionale. Il noleggiatore ci aveva detto che la patente non serve e che nessuno ce l’avrebbe mai chiesta, ma non è stato così. In ogni caso, al bisogno, esibite solo quella internazionale… anche se la polizia non sa che cosa sia e probabilmente non l’ha mai vista.

Abbiamo incontrato ragazzi olandesi in moto che non avevano la patente… nel senso che non ce l’avevano proprio, nemmeno in Olanda. Tenete conto che a Ulan Bator circolano rarissime moto europee o giapponesi senza targa e quindi immagino anche senza carta di circolazione, che però esiste e a noi l’hanno data. L’assicurazione, come accennato, invece non esiste proprio per i motoveicoli.

Noi abbiamo fatto una polizza specifica contro gli infortuni di viaggio, che non serve per farvi venire a prendere da un carro attrezzi, ma che è in grado di organizzare cure e rientro aereo in caso di emergenze gravi. Le polizze sono tutte inadeguate al contesto mongolo, anche se in teoria coprono tutto il mondo: la meno peggio è quella proposta da Columbus Assicurazioni, facilmente acquistabile on line.

Consiglio vivamente una SIM mongola: ne abbiamo fatta una per pochi spiccioli con 15 Giga di traffico incluso. Si è rivelata molto utile perché nei campi tendati, quasi sempre, c’è copertura, anche nel deserto.

POLIZIA E CONTROLLI

La polizia si incontra raramente. Noi siamo stati fermati due volte, la prima perché stavamo girando di notte senza casco né documenti, la seconda per un normale controllo di routine. In entrambe le occasioni senza conseguenze.

La polizia gira su grandi SUV neri, oppure la si trova generalmente ai caselli dove talvolta si paga il pedaggio, che sono spesso collocati a fianco di una stazione di controllo.

Diciamo che abbiamo sempre incontrato agenti pacifici e disponibili alla comprensione. Da quel che abbiamo visto la polizia non è armata. Al posto della paletta utilizza una specie di spada laser corta con led colorati.

Direi che la rara polizia non è assolutamente un problema.

I controlli di sicurezza all’aeroporto sono veloci e avvengono in via automatica tramite scansione del passaporto.

CARBURANTE

Per le Shineray è consigliata benzina a 92 ottani disponibile ovunque, salvo nei rari casi di distributori trovati temporaneamente esauriti. Il serbatoio tiene 14 litri e ci hanno detto che si fanno 300 km. In realtà noi abbiamo verificato consumi medi di 40 km con un litro (e anche più). Per cui ci sentiamo di dire che l’autonomia è di 400 km.

Non si incontrano difficoltà di rifornimento, ma i distributori, salvo rarissime eccezioni, sono concentrati in prossimità dei radi centri abitati. Sui file GPX e KML allegati sono segnati con precisione i distributori da cui ci siamo riforniti. Un paio sono strategici, nel senso che lì dovete rifornirvi per forza per evitare il rischio di restare a secco (nel caso, ad esempio, in cui dobbiate tornare indietro a cercare aiuto).

Non ricordo quanto costa la benzina, ma sicuramente meno di un euro al litro.

VITTO E ALLOGGIO

Fatta eccezione per Ulan Bator, le cittadine e i paesi più grandi (dove esistono alberghi sgangherati con bagno in camera a cifre ridicole), le sistemazioni sono in campi tendati. Una specie di campeggi con ristorante e bagni comuni, dove le tende (che qui si chiamano gher o yurte) sono già belle che montate. In genere ospitano due persone in letti più o meno comodi: non si dorme quindi per terra. Sono dotate di piumini (la notte fa freschino anche nel Gobi) e talvolta di asciugamani e ciabatte. Nelle località più alte di quota c’è una stufa centrale di ghisa che si può caricare a legna (fortunatamente non a sterco di vacca).





I ristoranti dei campi offrono cena e colazione a menù fisso non modificabile. La cucina è quella che è e bisogna un po’ accontentarsi. I bagni e le docce (almeno per la nostra esperienza), in termini di pulizia, vanno dal più che sufficiente all’eccellente. In alcuni campi pulivano addirittura ogni mezz’ora. Il disagio semmai è caratterizzato dalla temperatura e dalla pressione dell’acqua, che in effetti, può variare di molto. Ma alla fine della giornata, buttarci su un letto a pancia piena è tutto quello di cui abbiamo bisogno, anche se la doccia magari è appena tiepida.

Riguardo ai prezzi degli hotel, a Ulan Bator si trova di tutto e per tutte le tasche (consiglio strutture nuove o seminuove e in stile occidentale, dato che con le stelle ci vanno di manica larga). Nelle cittadine lungo il percorso abbiamo sempre dormito in alberghi a mille mila stelle (teoriche) a cifre di molto inferiori a quelle dei campi tendati (anche 23 euro in due e, se non ricordo male, pure meno). Nei campi tendati invece si spendono mediamente 35-50 euro a cranio in mezza pensione. Non sono mancati casi in cui abbiamo speso di più. Tuttavia ho l’impressione che i prezzi non siano fissi per tutti… non aggiungo altro.

ASSISTENZA

In caso di guasto alla moto dovete arrangiarvi.

Nelle praterie dove stanno piazzati i nomadi a custodire le loro mandrie è abbastanza facile incontrarli e loro stessi usano motorette uguali (nelle parti principali) a quelle che avrete noleggiato; le usano per governare gli animali. In queste zone, se siete in panne, potete chiedere aiuto a loro. Tenete conto tuttavia che, se si rompe qualcosa da sostituire, non è che abbiano un’officina completa di ricambi al seguito, per cui dubito che possano risolvere qualsiasi problema.

Nel Gobi, o comunque nelle aree dove non c’è nulla per far pascolare gli animali, come detto, i nomadi o non ci sono proprio o sono, comunque, assai rari, per cui la faccenda qui diventa difficile. Occorre recuperare un mezzo di fortuna (a trovarlo) e farsi portare in qualche paesetto o cittadina con meccanico (a trovarlo). I tempi naturalmente non sono calcolabili.

Consiglio dunque caldamente di partire con la moto in ordine, molto in ordine, ma mi rendo conto che bisogna accontentarsi di quel che passa il convento pregando il Buddha che vada tutto per il meglio.

BANCA E VALUTE

In Mongolia circola il Tugrik mongolo (ne servono circa 3700 per fare un euro). Esistono solo banconote in tagli da 5, 10, 20, 50, 100, 500, 1000, 5000, 10000 e 20000. A spanne 5 tugrik equivalgono a un millesimo di euro, mentre 20000 tugrik corrispondono a 5 euro. E questo è già illuminante della situazione economica del paese.

Se girate con il contante, cosa che consiglio assolutamente, un portafoglio non basterà per contenere tutta la carta.

Per rendere l’idea questi sono un milione di tugrik, corrispondenti a meno di 300 euro.



A Ulan Bator, potete pagare praticamente tutto con carte elettroniche. Per la nostra esperienza, i bancomat a nostra disposizione, ancorché previamente abilitati alla banda magnetica e quindi all’uso anche fuori dall’Europa, non hanno mai funzionato nei POS. Solo la carta di credito VISA ha funzionato, ma digitando il PIN, non apponendo la firma sullo scontrino come si usa da noi. Non abbiamo sperimentato gli sportelli ATM.

Abbiamo visto che le carte vengono accettate anche nelle piccole cittadine o nei distributori lungo le strade principali e anche in qualche campo tendato, ma non in tutti.

Se proprio siete alla canna del gas, nei campi tendati e negli alberghetti accettano anche euro, ma è sempre l’opzione di riserva, in quanto i prezzi li fanno sempre in tugrik. Con gli euro non riuscirete però a fare benzina, né a pagare nei market.

Noi siamo partiti con un discreto quantitativo di euro che abbiamo, in parte speso come sopra (ma non conviene perché il cambio di volta in volta praticato è abbastanza aleatorio e sempre penalizzante per noi; il resto viene sempre dato in tugrik) e in parte cambiato in banca.

Xaan Bank è l’istituto di credito più diffuso nel paese. Se la filiale effettua il cambio, vedete esposti i tabelloni con le valute; se non ci sono, vuol dire che non cambia. Abbiamo sempre impiegato non meno di 45 minuti per fare l’operazione allo sportello, perché gli euro li controllano uno a uno scartando quelli non perfetti (portateveli nuovi di pacca).

Vi consiglio di chiedere che i tugrik vi vengano dati in tagli da 20000 altrimenti non saprete proprio dove metterli. Ma non è detto che li abbiano, per cui ve li possono dare anche in tagli più piccoli e uscirete con pacchi alti cinque centimetri. In banca cambiano anche tramite carta di credito VISA strisciata allo sportello sempre digitando il PIN.

Mentre facevamo la coda in banca ci siamo resi conto che le operazioni allo sportello fatte dai mongoli sono per importi per noi irrisori, del tipo bonifici da 2-3 euro per intendersi o depositi di 10 euro al massimo. Questa è l’economia reale del paese e reali sono anche le lunghe attese che bisogna fare prima del proprio turno.

Le banche sono aperte dal lunedì al sabato dalle 09:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 17:00. Gli sportelli ATM restano invece operativi fino alle 19:00. Tenetelo a mente.

POPOLAZIONE E SICUREZZA

La Mongolia è un paese assolutamente e totalmente sicuro. Anzi la popolazione è sempre disponibile e regala grandi sorrisi. Nessuno, al di fuori della capitale, toccherà mai le vostre cose.

A Ulan Bator, la situazione apparente è la stessa anche di notte, ma ci hanno detto di stare attenti per scongiurare il rischio di piccoli furti. Solo nel grande mercato è meglio entrare senza telefono, portafogli, documenti, telecamere e quant’altro perché c’è una moltitudine di gente e i passaggi sono stretti. Il contatto accidentale è costante. Entrateci dunque senza nulla, con le mani in tasca e i soldi che pensate vi servano. Nient’altro.

Il tenore di vita è generalmente basso (o meglio, più semplice del nostro): cellulari per tutti insomma e gente vestita normalmente. Non abbiamo quasi mai visto miserabili, né avuto la percezione di pericolo, in nessuna occasione. Tutt’altro.

LA MOTO

E arriviamo alla scelta più determinante: il mezzo meccanico.

Esprimo subito il mio personalissimo pensiero, anche se verrà criticato.

Credo che affrontare la Mongolia, che prevede circa la metà del percorso su piste in parte nel deserto del Gobi, con un grosso bicilindrico da enduro sia inutilmente faticoso, perché tutto quel peso e quella potenza non servono a un bel niente. Inoltre portarsi dietro 300 e passa chili su terreni vari, cercando di dosare con prudenza il gas, a mio avviso toglie il divertimento e risulta difficile, o comunque non alla portata delle capacità di tutti.

Io, che sono una chiavica a guidare, che non so andare sulla sabbia, né attraversare i guadi, sarei stato in enorme difficoltà. Magari avrei potuto anche farcela, ma sarei stato tutto concentrato a guidare (e a non cadere), faticando a bestia e togliendomi tutta la serenità, il piacere e il divertimento.

Non è questo quello che cerco; l’ho fatto in passato, ma non voglio più ripetere l’esperienza di portare una moto (per me non adatta ed esagerata), dove si va molto meglio con una motoretta leggera, che tanto la potenza basta e avanza. Il comfort diventa secondario, o comunque non indispensabile.

In altri termini – e per me, lo ribadisco - piccola e leggera è meglio di grossa, pesante e potente. Non so se mi sono spiegato: andare a 5 all’ora con un GS, anziché ai 20-30 con una motoretta cinese, non ha alcun senso.

Per dirla brutale con un giesse, salvo rare eccezioni di manico, da ‘ste parti vi muovete gran poco o nulla.

La scelta del noleggio è praticamente obbligata, sia per quanto riguarda il mezzo che il noleggiatore. A Ulan Bator esistono sulla carta vari noleggiatori, ma in pratica tutti i motociclisti finiscono da Cheke Tours, che è in definitiva l’unica opzione praticabile ed è considerato serio e affidabile.

Al di là delle frasi fatte del tipo “la Mongolia si fa con una moto usata dai mongoli per meglio immedesimarsi nel contesto”, che è una grande scemenza, va detto che semplicemente non ci sono alternative. La moto è questa, perché altro non c’è: Shineray Mustang XY150.



Monocilindrica, 150 cc di cilindrata, raffreddamento ad aria, cambio a cinque rapporti, avviamento elettrico e a pedale, freni a tamburo, potenza… beh lasciamo perdere.

Anche i gruppi organizzati italiani, sia quelli assenti quest’anno, sia quelli presenti, noleggiano da Cheke Tours, che dispone di circa quaranta mezzi. Sia quando abbiamo ritirato, che quando abbiamo consegnato, nel cortile c’erano circa 5-6 moto segno che le altre erano tutte fuori.

Abbiamo incontrato, lungo i duemila e passa chilometri percorsi, solo quattro motociclisti spagnoli e tre motociclisti olandesi, uno dei quali arrivato sulle proprie ruote via terra in sella a Yamaha XT660Z Ténéré. Quest’ultimo, a detta dei compagni, faceva una gran fatica a guidarla per via del peso e dell’altezza. Nella capitale abbiamo anche incontrato Daniele Infante (su facebook “Leg in bag” ) in sella alla sua Suzuki V-Strom 1050 XT che però, da quel che ho capito, non si è avventurato sulle piste.

Insomma, se il 100% dei motociclisti gira sulle Shineray Mustang, ci sarà pure un motivo… poi ognuno è libero di cercarsi le rogne che vuole.

Le nostre moto erano del 2019 come risulta dalla carta di circolazione. Tuttavia poco o nulla funzionava. Diciamo che viene fatta si e no la manutenzione essenziale, ma ciò che si rompe e non è indispensabile viene lasciato rotto. Il prezzo del noleggio è bassissimo (13 euro al giorno). Se volete un van al seguito, cosa fastidiosa ma rassicurante su alcune tratte dimenticate da Dio, dovete aggiungere 100 euro al giorno. Cheke Tours organizza viaggi tutto compreso (moto, van, autisti, guida, vitto e alloggio) a 140 euro al giorno, ma non va più nel Gobi perché, mi ha detto, la gente non ce la fa per la fatica accumulata. Sarà…

Questo è il contratto di noleggio.



E questa è la carta di circolazione.



In cauzione potete lasciare il passaporto o 600 euro in contanti a moto. Abbiamo scelto questa seconda opzione. Alla riconsegna ci è stata prontamente restituita.

Compreso nel prezzo c’è anche il casco, o meglio vecchi caschi jet cinesi (da lavare bene, per cui non serve che ve lo portiate da casa, alla peggio con 30 dollari ne comperate uno nuovo in città) e gli attrezzi necessari e completi. Per 3 euro vi noleggia borse laterali stagne o sacca da portapacchi. Niente borse da serbatoio.

L’assicurazione non esiste e, se succedono guasti, sono tutti problemi vostri, perché non viene fornita assistenza. Chiari e cristallini dall’inizio.

Noi siamo stati fortunati perché le moto, seppur con i loro limiti, non si sono mai rotte e ci hanno portato di ritorno. Addirittura, sotto la benedizione del Buddha, non abbiamo mai bucato. Non possiamo quindi che parlar bene di Cheke Tours, ma abbiamo letto di piccoli guasti peraltro riparabili on the road seppur con dispendio di tempo e fatica.

COSTI

I voli, come detto, sono costati 1.375 euro a testa; il noleggio 200 euri sempre a testa e 1.125 euri li abbiamo spesi per benza, vitto e alloggio e souvenir. Quindi è un viaggio relativamente economico: su per giù 2.700 euri per 17 giorni, tutto compreso.

Viaggiare in autonomia e senza van con autista al seguito, costa (escluso il volo) circa 1/3 della quota di partecipazione (escluso sempre il volo) chiesta dai tour operator specializzati italiani, che però mettono a disposizione jeep e van, guide e quant’altro utile a rendere la vacanza confortevole. Poi alla fine tutti dormono negli stessi posti (o in posti equivalenti) e tutti noleggiano le stesse moto.

Quindi si tratta di un gran risparmio che rende questo viaggio alla portata economica di molti.

FILES ALLEGATI

Tutto il percorso di viaggio in formato gpx (per navigatori Garmin) e kml (per Google Earth) è scaricabile QUI. Contiene il tracciato esatto seguito, gli alberghi i campi tendati in cui abbiamo dormito, i ristoranti dove abbiamo mangiato, i distributori di carburante utilizzati e i luoghi visitati.

Tutto questo racconto in formato PDF è scaricabile QUI

Bene. Il pistolotto iniziale è finito. Se siete pronti possiamo iniziare…

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Massimo Adami
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Ultima modifica di Massimo; 01-11-2023 a 10:46
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Vecchio 20-10-2023, 00:54   #19
tirzanello
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Grazie 1000! Anzi 1milione.
In solo post hai condensato giorni di ricerche sul web.
Nel 2006 in Liguria incontrai a un semaforo un R100GS con targa americana. Ovviamente stupefatto lo inchiodai immediatamente. Marc, 32 anni, dal New Mexico, stava facendo il giro del mondo in solitaria. Strabilio e lo obbligo a bere una birra insieme per raccontarmi.
Spedita la moto in Giappone, aveva già fatto tutta l'Asia, tutti gli xxxstan e il periplo dell'Africa in un anno e mezzo. Gli restava l'Europa.
Alla domanda quale fosse il paese più bello che avesse visto, indovinate un po? MONGOLIA !!
Da allora è fissa nel mio mirino.
Morirò prima ma non demordo.
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Vecchio 20-10-2023, 10:02   #20
Massimo
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PROLOGO – 11 AGOSTO 2023
Verona – da qualche parte nel cielo cinese (zero km in moto)


La data della partenza programmata è arrivata. Tutta la giornata è dedicata al lungo trasferimento aereo.

Tutto il mio bagaglio è costituito da un borsone stagno da 90 litri giallo fastidio (lo lascerò in hotel e girerò poi con una sacca stagna da 35 litri fissata al portapacchi) e da una borsa da serbatoio (come bagaglio a mano) per le cose di pronto uso e soprattutto per l’attrezzatura tecnica (caricabatterie, macchina fotografica e telecamera).



La faccio breve, perché tanto non c’è nulla di significativo da raccontare: sveglia alle 4:30 del mattino; treno da Verona a Mestre, dove arriverà allo stesso orario anche Alberto, sempre in treno da Udine; bus navetta fino all’aeroporto Marco Polo di Venezia; solite pratiche per check-in e imbarco su volo Turkish Airlines fino a Istanbul, dove arriviamo puntuali in un paio d’ore.



Qui dobbiamo attendere cinque ore per imbarcarci sulla seconda tratta fino a Ulan Bator, sempre con Turkish Airlines. L’aeroporto della capitale turca dista 50 km dalla città ed è davvero immenso (mi sentirei di paragonarlo a quello di Francoforte). In questo periodo di dispetti reciproci tra l’Europa e la Russia, Istanbul è diventata l’unico crocevia per le destinazioni verso oriente ed è assolutamente all’altezza di reggere l’intenso traffico aereo. Da qui passa praticamente il 100% dei voli per questa parte del mondo, e non solo. Bravi ‘sti turchi: efficienti e organizzatissimi!

Il volo per Ulan Bator parte quasi puntuale, ma il viaggio è davvero lungo e palloso. A mezzanotte voliamo nel cielo cinese dormendo o guardando film.

Gli aeromobili sono confortevoli (nulla a che vedere con le scatolette usate da Ryanair). Offrono più pasti durante il viaggio (quello con la pasta è buonissimo) e da bere a volontà (anche vino in bottiglia). Ogni posto ha a disposizione uno schermo interattivo con contenuti multimediali di vario tipo. Le cuffie e la coperta sono compresi.

Buonanotte…

PROLOGO – 12 AGOSTO 2023
Da qualche parte nel cielo cinese – Ulan Bator (20 km in moto)




Atterriamo a Ulan Bator alle 7:30 del mattino (ora locale) e velocemente siamo fuori dall’aeroporto, con bagagli, manco a dirlo, al seguito.

L’aeroporto internazionale non poteva che chiamarsi Chinggis Khaan International Airport ovviamente.

Ne esiste un altro più piccolo, ma credo che serva solo i domestic flights. Lo scalo internazionale è comunque piccoletto (ha appena sei gates) e guardando i tabelloni il traffico è davvero scarsino.

Cerchiamo un taxi ufficiale per raggiungere l’albergo, che però non troviamo. Ci si avvicina un ceffo abusivo e dopo una trattativa fatta a gesti, combiniamo per 25 euro, poco più del taxi vero.

Deve fare 50 km (tanto dista l’aeroporto dalla capitale) e ci impiegherà quasi due ore a causa del traffico perennemente congestionato oltre ogni immaginazione.

Francamente non sono riuscito a capire come, con tutto lo spazio libero a disposizione (e quando dico libero intendo proprio vuoto), non abbiano pensato, ‘sti mongoli, di avvicinarsi alla città. Ma tant’è… Lungo la strada il tipico paesaggio mongolo, fatto di colline verdissime e appuntite, ci accompagna da ambo i lati. Poi entriamo nella capitale e lì la musica cambia decisamente.

Devo dire che ci sono numerose arterie ad alto scorrimento, ma solo teorico, perché la moltitudine di auto è davvero spaventosa, per cui tutti sono sempre quasi fermi. Penso a coloro che lavorano e devono attraversare la città da parte a parte una volta al giorno, i quali devono mettere in conto almeno - e dico almeno - quattro ore imbottigliati nel traffico.

La delirante musica di clacson è praticamente ininterrotta dalle sette del mattino all’una di notte, tutti i sacrosanti giorni, festività comprese.

Potete immaginare che le ambulanze non passano perché la gente occupa pure le corsie riservate. Per gli autobus è la stessa cosa. Inoltre aggiungeteci pure il fatto che la precedenza non esiste: te la prendi. Pertanto vedi auto che, ferme al semaforo con quattro corsie per senso di marcia, ovviamente nella corsia più a destra, a prescindere che sia rosso o verde, svoltano a sinistra o, peggio ancora, fanno inversione a U, bloccando tutto e tutti. Ma ho visto anche di peggio e questa è la regola.

Insomma un gran casino e il primo impatto non è dei più incoraggianti.

Ah… quasi dimenticavo: si guida a destra, ma la maggior parte delle macchine ha la guida a destra. Questo perché circolano quasi totalmente auto di seconda mano giapponesi, in testa a tutte Toyota Prius ibride di prima generazione. Moto e motorini quasi inesistenti.

Arriviamo in albergo verso le 10:00 del mattino. Siamo un po’ cotti perché è da più di 24 ore che siamo in ballo. Inoltre siamo anche un po’ storditi dal fuso orario (che qui è di sei ore in avanti rispetto all’Italia).

Abbiamo scelto il Millenium Plaza, che si trova a circa un chilometro e mezzo dalla piazza principale della città e che occupa alcuni dei 15 piani di questo edificio di cristallo.



Sulla carta sarebbe a quattro stelle, ma abbiamo imparato a toglierne una (anche abbondante) per parametrarlo agli standard europei. La camera doppia con letti separati ci costa 95 euro compresa la prima colazione, ma il check-in prima delle 14:00 costa il 30% in più del prezzo della camera. Non se ne parla.

Facciamo allora un giro a piedi di ambientazione e tentiamo di mettere sotto i denti qualcosa di commestibile: finiamo al Red Restaurant, una sottospecie di pub, in stile pseudo-british adattato al mongolo, con camerieri svogliati, all’interno di un supermercato. Spendiamo pochi euro e mangiamo decentemente.



All’una, presi da pietà, ci danno la camera in anticipo senza maggiorazioni. Ci sistemiamo e scendiamo per organizzare il ritiro delle moto.

Lo spacciatore di moto (a quanto ne sappiamo forse l’unico, e sicuramente il più affidabile) ha pensato bene di stabilire la sua sede in un recinto di legno a 20 km a ovest dalla città, sebbene tutti i suoi clienti arrivino e si sistemino in città. Il posto è talmente imbucato che le signorine alla reception dell’albergo, le quali ci hanno gentilmente chiamato un taxi, manco sapevano dove dovevano farci portare.

Con l’ausilio dell’indirizzo scritto in mongolo e google maps il taxista ha intuito la direzione e ci ha caricati senza proferire parola. Taxi ufficiale ‘sto giro, con tanto di tassametro su app del cellulare. Per vie secondarie e alternative ci porta in zona, ma in prossimità dell’arrivo ha dovuto chiamare più volte il noleggiatore per farsi spiegare il punto esatto: alla fine spendiamo 7 euro per un’ora e mezza di taxi: onesto!

Entriamo dubbiosi nel recinto e lì troviamo due Shineray Mustang 150 nuove di pacca ad aspettarci. No, scherzo, nuove fiammanti un par di palle.



Alberto le prova e si mostra cautamente entusiasta, o meglio realisticamente rassegnato. Sì, perché le moto funzionano, ma la maggior parte delle dotazioni non funziona: contachilometri, tachimetro, contagiri, spie varie sono completamente morte. Ma è normale, ci dicono, e assolutamente irrilevante. In effetti quel che importa sono i freni, naturalmente a tamburo (che non frenano) e le sospensioni (fatte da due molle e da ammortizzatori minuscoli come quelli dei portelloni delle macchine) praticamente inesistenti. Il motore però si accende e questa è l’unica cosa veramente necessaria.

Entriamo in una yurta dove compiliamo il contratto, versiamo il prezzo del noleggio (13 euro al giorno) e il deposito cauzionale (600 euro, pari al prezzo di acquisto del nuovo). La tizia che gestisce tutta la faccenda ci consegna le carte di circolazione e fine del discorso. Le moto non sono assicurate ed è già tanto che abbiano la targa, perché non è detto.

Come sempre accade in questi casi si parte schizzinosi, ma alla fine del viaggio, se non succedono disgrazie, ci si affezione a ‘sti mezzi da due lire perché, se non si spaccano, sono veramente lo strumento giusto per girare da queste parti.

In effetti, dato che la maggior parte di quel che c’è è già rotto, resta gran poco da rompere.

Inutile pretendere di fare i fenomeni su giesse da 300 kg: se non sei un manico non ci fai veramente niente, oppure triboli all’inverosimile: ci vuole una moto bassa e leggera, anche se spompa. Fine del discorso.

Rientriamo trotterellanti all’albergo impiegando il tempo che serve. Ci rendiamo subito conto che la mia motoretta va meglio di quella di Alberto, nel senso che lui arriva, nel chilometro lanciato, ai settanta, mentre io sfioro i novanta. Per il resto sono due autentici catenacci cinesi fatti di pongo e, se te la regalano, ti fanno un dispetto.

In albergo allestiamo i motorini con prese di bordo supplementari, borse da serbatoio e supporto GPS. Quest’ultimo trova posto in posizione ben visibile e soprattutto ben protetta, attaccato sul portapacchi anteriore. Utilizzo Garmin GPSMAP 67, che si è rivelato un eccellente strumento, robusto e affidabile, ma soprattutto con lunga autonomia (rispetto alla versione precedente, monta batterie al litio non sostituibili, che assicurano due intere giornate in moto senza alimentazione).



Poi in serata scegliamo di cenare nel ristorante primo in classifica su Tripadvisor, che tuttavia propone cucina indiana. Siamo messi bene se la gastronomia mongola top di gamma non è mongola. Hazara il suo nome. Ceniamo indiano meglio che in india, ma non ci tornerei.



Dopo cena facciamo un giro in centro per vedere le luminarie. La città resta indecifrabile, ma Gengis Kahn paffuto controlla tutto dalla sua comoda poltrona.







Domani inizia il test drive preparatorio al giro vero e proprio. Ci addormentiamo con vista panoramica sulla città.







Staremo a vedere…

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Ultima modifica di Massimo; 20-10-2023 a 10:21
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Vecchio 21-10-2023, 14:28   #21
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PROLOGO – 13 AGOSTO 2023
Ulan Bator – Ulan Bator (157 km in moto)



Le motorette bisogna per forza provarle prima di immergersi nelle steppe mongole. E questo, non tanto per prendere confidenza con i mezzi, che sono di per sé confidenziali data la loro elementare semplicità, ma per cercare di capire se hanno rogne nascoste pronte ad emergere vigliaccamente.

Ad est di Ulan Bator, ci sono alcune attrazioni che combinate insieme uniscono l’utile al dilettevole, nel senso che il test drive ci porterà a vedere una zona turistica (troppo per i miei gusti) abbastanza vicina alla capitale.

Partiamo con comodo e, districandoci nel traffico di questa città assurda, cerchiamo di uscirne in direzione est.



Qui è tutto asfalto e credo che una parte sia addirittura autostrada. Il traffico è palpabile, ma niente a che vedere con quello del centro. Insomma si viaggia, intendiamoci, non a chissà quale velocità, perché i motorini qua si trovano a loro agio intorno ai 50 km/h. Oltre, il pistone ti esce dal serbatoio e si incastra nei denti.

Siamo diretti alla statua equestre di Gengis Khan (all’anagrafe Temüjin Borjigin), il monumento simbolo del Paese, dedicato al grande condottiero (nonché imperatore) che l’ha fondato nel XII secolo, unificando a suon di mazzate le disorganizzate tribù mongole e turche.



Si trattava di un impero di mastodontiche dimensioni (si dice il più vasto impero terrestre della storia umana)
che arrivò a comprendere, con i suoi successori, la maggior parte dell'Asia centrale, l'intera Cina, la Russia, la Persia, il Medio Oriente e parte dell'Europa orientale. Una roba grossa, insomma, molto grossa.

Gengis Khan e il suo impero hanno sempre avuto una temibile reputazione: le sue conquiste vengono descritte come distruzioni su larga scala senza precedenti, che causarono immensi cali demografici a causa di stermini di massa e carestie. Insomma non andava certo per il sottile.

La pacchia tuttavia durò poco tempo, perché l’impero venne poi suddiviso in quattro parti e, in una di queste, il successore di Gengis Khan, fondò la dinastia Yuan e diede spazio alla epopea cinese.

Ma torniamo al monumento equestre, interamente in acciaio, che rappresenta Gengis Khan a cavallo. Beh, l’impatto è davvero notevole, anche se, arrivando, lo si intravede proprio all’ultimo: la statua è alta 30 metri e poggia su un basamento circolare alto 10 metri, per cui l'altezza totale del monumento è di 40 metri. Attualmente è la stata equestre più alta del mondo, e lo sarà fino a quando non sarà ultimata quella, a Mumbai, dedicata a Shiv Smarak, che dovrebbe raggiungere i 212 metri di altezza.







Pargheggiamo e a piedi ci dirigiamo alla base del complesso. Per pochi spiccioli possiamo prendere in mano aquile al guinzaglio, ma ne vedremo a decine, libere, lungo il percorso per cui non ci facciamo tentare.

Entriamo nel basamento. Alberto si fa subito catturare da una guida mongola, che gli spara un pistolotto infinito di cui ignoro il contenuto, mentre io gironzolo incuriosito.



Un gruppo folk suona e balla. Le donne possono vestirsi con i costumi tradizionali e si fanno immortalare in pose scenografiche.



Per il resto non c’è altro da vedere, per cui decidiamo di salire dentro la statua, che è cava.

Sbucchiamo sulla testa del cavallo e da lì possiamo ammirare frontalmente e a distanza ravvicinata il bel faccione del simpatico Gengis. Diciamo che la statua è un must have e non si può proprio saltare in un viaggio in Mongolia, dato che dista solo 50 km dalla capitale.



Torniamo sui nostri passi fino alla devizione per il Parco Nazionale di Gorkhi-Terelj, bello per carità, ma troppo inflazionato turisticamente. Qui infatti hanno costruito resort di lusso con tende gher di lusso, senza il benché minimo criterio e soprattutto senza pesare bene l’impatto ambientale.

Il paesaggio è peraltro attraente e soprattutto verdissimo. La zona è prevalentemente montuosa. La prima tappa è la famosa statua della tartaruga (Turtle Rock), un monolite di granito alto 24 metri che ricorda vagamente l’animale.



Giusto il tempo di una foto e arriviamo, dopo una mulattiera dissestata, al cospetto dell’Aryapala Temple Meditation Center, un tempio buddista appollaiato alla testata di una valletta secondaria. Così, a pelle, non ci sembra così meritevole da raggiungere, anche perché dovremmo sciropparci una lunga scalinata tra i prati. Così ci accontentiamo, da pigri, di guardarlo da lontano.

Proseguiamo verso nord fino al centro turistico principale del parco dove il Terelj Luxury Hotel occupa tutto lo spazio. Inizia lo sterro che ci consentirà di rientrare ad Ulan Bator con un giro ad anello. Abbiamo la netta impressione che questa parte del nostro itinerario sia sconosciuta alla massa dei turisti, perché non c’è proprio nessuno in giro. Eppure il paesaggio è davvero autentico e puro. Qui ci sentiamo finalmente in Mongolia e non al luna park.



Le piste salgono e scendono tra le montagne isolate. Non riusciamo ad immaginare lo sviluppo del percoso che dunque si rivela una sorpresa ad ogni curva o salita. Un paio di villaggi defilati, fatti di casette di legno, sono gli unici segni della presenza umana. Eppure siamo ad una manciata di chilometri dal caos della capitale dove la gente vive ammassata in scatolotti di cemento di venti piani.



Insomma ci è piaciuta molto questa parte finale dell’itinerario e la consigliamo senza riserve.

Torniamo nel tardo pomeriggio a Ulan Bator. Stasera ci attende una cena sperimentale al The Bull Hot Pot Restaurant, che sta al quinto piano di un grattacielo di cristallo. Veniamo fatti accomodare ad un tavolo in similpolicarbonato trasparente con incorporate zone a induzione invisibili. E’ tutto touch. Si scelgono le zuppe, si fanno bollire direttamente sul tavolo e ci si infila dentro delle specie di spaghetti fatti di non so cosa assieme a dei rotoli di affettato (tipo prosciuto crudo) congelati che, con il calore, si rattrappiscono. Il tutto da afferrare con stramaledette bacchette di legno, che odio. Mah… procedimento mai sperimentato e di dubbia soddisfazione. Abbiamo comunque riempito la panza.

Test drive direi superato. Dai che domani si comincia…

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Vecchio 22-10-2023, 19:05   #22
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GIORNO 01 – 14 AGOSTO 2023
Ulan Bator - Khogo Khan (285 km in moto)



Ce la prendiamo comoda e alle 10:00 siamo pronti a partire. Appena usciti dall’albergo entriamo nel traffico di Ulan Bator ancora una volta. Fermi in colonna incontriamo una Suzuki V-Strom 1050 XT con targa italiana. Il tempo di due parole mentre il semaforo è rosso. Scopriremo poi che si trattava di Daniele Infante arrivato in solitaria in Mongolia dopo un lungo viaggio.



Armati di santa, anzi santissima pazienza, riusciamo a lasciare la capitale in direzione ovest per l’unica strada asfaltata che scorre diritta tra le colline appuntite e verdissime. La guida sarebbe abbastanza noiosa e rilassata, se non fosse per le buche sulla strada che ci tengono belli svegli e reattivi.

Ce ne sono sparse un po’ random e alcune sono talmente profonde che è meglio non finirci dentro. Le motorette trotterellanti vanno una meraviglia, si fa per dire.

Intravvediamo i primi cavalli che fanno il bagno in una pozza poco distante.



Poi il paesaggio ci ricorda gli sfondi di Windows.



Ai margini della strada un pippolotto di stracci colorati attira la nostra attenzione, anche per la statua di una vecchia gobba che sorge li vicino, ma non capiamo cosa sia perché le scritte sono solo in mongolo.



Dopo un paio d’ore ci fermiamo nel villaggio di Lùn, giusto in tempo per ripararci da un violentissimo temporale che già da un po’ vediamo avvicinarsi. Facciamo benzina e cerchiamo ristoro al Am Tsangav Restaurant. Dentro non c’è nessuno e il menu in mongolo dobbiamo tradurlo per capire le prelibatezze che ci attendono.



Il villaggio altro non è che una serie di baracche di legno dentro recinti. Un paio di ristoranti poco invitanti e nient’altro. Ma è praticamente il primo centro abitato di una certa consistenza da quando siamo partiti: abbiamo fatto 130 km e questo ci fa capire subito che aria tira in termini di densità di popolazione.

Smette di piovere. Ripartiamo sempre su asfalto

Dopo un’ottantina di chilometri ci fermiamo nei pressi di Ėrdėnėsant, un altro villaggio di catapecchie in mezzo al nulla, attratti dalla puzza di tre porchi che rovistavano tra i rifiuti di un bar chiuso.



E’ uscito il sole e manca poco per mettere finalmente le ruote sulla terra. Infatti poco distante inizia lo sterro che ci porterà ad un campo tendato nei pressi di alcune formazioni rocciose tondeggianti. La pista scorre sabbiosa tra i cespugli, qualche pozza di fango e niente più.







Decido di sperimentare la Insta360 montata sull’asta accrocchiata al telaio della moto. Parto a paletta su dossi e buche e, in men che non si dica, spacco l’asta e perdo la telecamera.





Fortunatamente la ritroviamo intatta perché è stata sbalzata sulla sabbia, ma l’asta è irrecuperabile. Studieremo qualche soluzione alternativa. Inizio proprio alla grande, direi.



Arriviamo in breve al Khugnu Khan Mountain Camp, che si estende alla base delle rocce. Il cielo è limpido e tra poco il sole scenderà dietro le montagne.





Qui impariamo subito che il prezzo fisso non esiste, ma viene fatto a seconda dell’estro del momento o della nazionalità del viaggiatore. Un ceffo che parla mongolo, ci manda da una tizia, la quale ci dirotta su un altro personaggio che infine ci fa parlare con la capoccia. Con lei combiniamo il prezzo (circa 35 euro per la mezza pensione) e ci facciamo indicare la tenda assegnataci.

L’operazione sarebbe elementare se solo l’addetta sapesse contare, ma non è così: la boss aveva detto “number 7”, ma finiamo alla number 9 e poi alla number 11. Ad ogni numero sbagliato l’addetta tornava dalla boss e si faceva ripetere il numero…. dai e dai alla fine arriviamo alla tenda giusta.

I bagni sono puliti e questo è già un buon inizio, l’acqua poco più che tiepida. Abbiamo poco tempo perché alle 20 si cena così così in una bella sala di legno.



Andiamo a dormire, come si dice, sotto una coperta di stelle.



Siamo davvero in un bel posto e siamo felici.

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Massimo Adami
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Vecchio 22-10-2023, 20:13   #23
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bello.......
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Vecchio 23-10-2023, 09:42   #24
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Stupendo !
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Vecchio 23-10-2023, 10:15   #25
Toto4
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Grazie di condividere , molto prezioso.
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