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Vecchio 24-06-2017, 21:06   #57
Fagòt
Mukkista doc
 
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7° giorno: Wahiba Sands – Al Hadd 400 km.

Facciamo colazione con Seif e la sua famiglia dopo aver caricato le moto. Sono le 8.00 e il termometro segna già 22 gradi. Dopo averlo ringraziato per l’ospitalità e per le indicazioni che ci ha fornito per uscire torniamo verso la pista di ieri: in teoria siamo a soli 20 km in linea d’aria dal mare, ma raggiungerlo navigando verso est è impossibile perché le dune si fanno alte parecchie decine di metri e la via migliore è proseguire verso sud finchè la pista devia verso ovest, puntando all’asfalto che scende parallelo al deserto. Ci lascia il suo numero di telefono in caso di qualsiasi bisogno e recupera qualche litro di benzina nell’accampamento di un vicino, visto che le moto stanno consumando un 30/40 % in più per via della sabbia molle.







I primi km sono identici agli ultimi di ieri pomeriggio, con la pista stretta e le parti laterali coperte da cespugli di erba, poi come Seif ci aveva anticipato l’erba scompare e piccole dune lasciano spazio a percorsi fuori dalla traccia. Le pendenze non sono ardue, ma occorre tenere il gas continuamente puntato che si passa dalla sommità relativamente compatta a catini pieni di fech fech. Scendendo in uno di questi non faccio in tempo a trovare il punto di risalita migliore, così conficco l’anteriore della moto nella duna cassè con il posteriore affondato nella sabbia finissima. Riesco ad urlare a Roby di stare a destra e di rimanere sulle creste, poi tolgo il casco che ci sarà da lavorare parecchio.
Togliamo le zega e la rollo per alleggerire la moto, poi buttata a terra la giriamo verso quella che sembra la parte del catino con meno pendenza. Gas a manate, Roby che spinge in una nuvola di sabbia e zampettando ai 2 all’ora la riporto sopra una duna compatta. Un altro errore come questo si porterebbe via ancora mezzora di energie.





Indico a Roby la via migliore da seguire e lo invito a scendere con il gas a manetta per prendere velocità nel piano sottostante. 100 mt ed appoggia la moto.
Ok, così non ce la possiamo fare per cui lo raggiungo e lo rassicuro: pochi km indietro ho visto 2 Expat che caricavano legna su un pick-up, posso tornare indietro senza borse e chiedere una mano… al massimo se non ci fossero più torno fino al campo di Seif e chiedo ai suoi lavoranti pakistani. “Cominciamo dalla terza opzione, la meno faticosa di tutte… tira fuori il satellitare e chiama Seif che intanto mi fumo una paglia all’ombra della tua moto. Siamo a 9 km in linea d’aria sulla pista sud.”
Venti minuti dopo torno vicino alla Fotty lassù in alto che in questa buca non ci possono vedere e in lontananza vedo il 70 con a bordo uno dei 2 Expat che segue le nostre tracce a vista.
Cerco di spiegargli che vorremmo caricare le moto o anche solo i bagagli, ma sembra non capire, poi arriva la telefonata della solita formica regina Seif, già sulla strada del rientro verso casa, e in un attimo piazza il pick-up sotto una duna con lo sportello aperto. Prendo le 2 moto e con un ampio giro poggio la ruota anteriore per farle salire sul pianale dove le leghiamo dopo aver tolto le borse.




Il pick-up è rovente e il pakistano sembra non conoscere altre parole salvo Mahot e Shanah, due piccole cittadine, una a sinistra ed una a destra della direzione che prenderemo. Lui ci porterà al distributore nel mezzo. Torna sulla pista principale ed avanza con il culo del 70 che sbanda da tutte le parti, poi in prossimità di un gruppo di dune si ferma un attimo, innesta la prima e con decisione sale in contropendenza sulla sabbia vergine. Scavalliamo e dall’altra parte la sabbia scompare per lasciare spazio al terreno duro ed una pista in toulè di circa 30 km che sbuca proprio in fronte alla stazione si servizio. Mancavano solo 5 forse 6 km di sabbia per completare la traversata in autonomia. Pazienza, l’importante è partecipare.

Tolte le moto gli allunghiamo una lauta mancia per l’aiuto e mentre ci scoliamo una bibita gelata dopo aver fatto benzina, lo vediamo andare e tornare con il pick-up pieno di sacchi di mangime per animali. Almeno non si è fatto la strada per nulla.

Dopo 2 giorni di sabbia la consistenza dell’asfalto ha fascino tutto suo e scarto a priori di mettere la traccia che avevo preparato una volta giunti qui: ci avrebbe dovuto portare al Rab Al Khali “Il quarto vuoto”, il secondo deserto in sabbia più grande al mondo dopo il Sahara e che si estende tra l’Oman e l’Arabia Saudita. 600 km tra andare e tornare per vedere dune alte 300 mt.
Metto invece la risalita fino alla punta più orientale della penisola arabica e all’oasi delle tartarughe di Raz Al Jiz, percorrendo la statale che corre sulla costa dell’Oceano Indiano.
Dopo tanto caldo si va al mare.


Lasciata Mahot puntiamo verso nord est, con al nostro fianco sinistro le alte dune che Seif ci aveva descritto e alla destra le spiagge oceaniche dove si intravedono i primi Dhow, le caratteristiche imbarcazioni omanite che per secoli hanno percorsi i mari verso l’India commerciando le spezie e verso l’Africa commerciando gli schiavi.




Visto la presenza di tante barche da pesca decidiamo di fermarci in un ristorantino sulla strada e mentre chiacchieriamo con un gruppo di indiani che hanno noleggiato delle Jeep per passare una settimana nel Wahiba, riusciamo ad ottenere un pasto degno di nota: trancio di tonno, gamberi in salsa piccante, riso e insalata.





Una volta giunti all’oasi scartiamo l’idea di dormire presso il resort che si trova al suo interno e così con le tenebre che calano rapidamente arriviamo nel villaggio di Al Hadd, sulla punta dove il mar Arabico incontra l’oceano Indiano. Il receptionist della guest house capisce male le nostre indicazioni e così ci ritroviamo con due camere doppie comunicanti dotate di doppi servizi al prezzo di una. Stasera doccia, bucato, un letto morbido sotto la schiena e aria condizionata a palla. Che anche le zie più temprate ogni tanto hanno bisogno di coccole.
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Abbi cura del tuo ospite che dio veglierà su di te nel deserto.

F 800 GS - Fotty
T700 - Tenery
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