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Massimo 25-08-2017 12:44

Ladakh 2017 - La strada verso il cielo 2 (FOTO e REPORT)
 
LA SCINTILLA

La scintilla è scoccata a novembre dell’anno scorso quando ho letto su questo forum il post di Donato Nicoletti su un raid motociclistico percorso l’estate precedente. Ho così iniziato a documentarmi a fondo sul Ladakh, sulla sua gente e soprattutto sulle strade che l’attraversano. Ero affascinato da questi grandi spazi, dalle altezze vertiginose dei passi che cavalcano creste sconfinate, ma soprattutto dall’idea di sentirmi piccolo piccolo in questa terra di confine incastrata tra Cina e Pakistan.

Ho poi saputo che il tour veniva riproposto, con varianti significative, per quest’anno e così ho telefonato a Donato e l’ho anche incontrato in fiera a Verona.

DONATO NICOLETTI


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Donato è un personaggio per me quasi mitologico, viaggiatore solitario infaticabile ed evoluto, reporter e fotografo, decisamente fuori dagli schemi.

Attento conoscitore di queste terre, che ha attraversato in lungo e in largo innumerevoli volte, e in generale del sud-est asiatico. Disponibile, paziente, ironico e autoironico, mai scontato. Un pozzo di conoscenza che è un piacere ascoltare per la semplicità e naturalezza con cui la sa proporre ed esporre.

Durante il viaggio ho apprezzato la sua grande esperienza e competenza, nonché l’approccio molto “zen” di fronte alle difficoltà. Quale miglior guida di lui, dunque?

LE PROPOSTE ALTERNATIVE

Non nascondo che, nella mia ricerca, ho valutato anche proposte alternative di un viaggio di gruppo in Ladakh ma ho avuto l’impressione che altri vendessero pacchetti già confezionati, come la Manali – Leh con puntata al Kardung La.

A me però interessava fa girare le ruote dove pochi vanno, per esempio sul Wari La o sul Chang La (il passo più alto di tutti), ma nessuno sembrava inserire queste mete nei pacchetti proposti e assolutamente immodificabili.

Il viaggio pensato da Donato risultava invece concettualmente diverso, una sorta di trifoglio con centro a Leh: la prima foglia era un anello con puntata in Kashmir, la seconda foglia un altro anello con vertice nella Nubra Valley e puntata al Pangong Tso, la terza foglia ancora un anello verso lo Tso Kar; il tutto condito da passi himalayani fuori dalle rotte classiche.

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La decisione è stata presto presa. Si trattava dunque di mettere insieme un gruppetto di “capitani coraggiosi” che avesse le stesse predisposizioni mentali.

IL VIAGGIO

A giugno il gruppo era formato. Si trattava quindi di dar corso alle prenotazioni. Dei permessi, hotel e moto si è occupato Donato, mentre dei voli, e documenti di viaggio (visto e patente internazionale) ognuno ha fatto per sé. Personalmente, visto il lungo viaggio aereo, ho aggiunto un paio di giorni alla fine del raid per immergermi nell’India di pianura, visitando Delhi, Agra e Fatehpur Sikri… nonostante il monsone e quindi alta temperatura e umidità.

Chi mi conosce sa che amo viaggiare da solo, per cui un viaggio di gruppo, seppur con un accompagnatore carismatico ed unico, comporta compromessi, mediazioni, rinunce e spirito di adattamento che va messo bene in conto già prima di partire.

Io, ad esempio, amo fermarmi e fotografare molto e questo in gruppo non sempre è possibile anche in relazione alla lunghezza delle tappe e quindi ai tempi di percorrenza. Comunque sono ugualmente riuscito a scattare più di quattromila fotografie, per cui compromesso ben gestito direi.

Ora che ci sono stato, me la sentirei di affrontare un viaggio in solitaria, sulla Manali – Leh, ma non sulle altre strade che si infilano per le valli o su per i monti del Ladakh. Troppe le incertezze: la benzina, le strade, la moto. Trovarsi fermo in certe zone in mezzo al nulla assoluto può diventare un problema anche serio e venirne fuori non è semplice.

Dico subito, per chi non lo sapesse, che in Ladakh si va piano, molto piano, sia per le condizioni delle strade che possono risultare talvolta sterrate, impegnative e molto sconnesse, sia per l’altitudine che va affrontata a ritmo lento e progressivo, previo acclimatamento e, se del caso, trattamento farmacologico preventivo.

Già una tappa di 200 km al giorno richiede molte ore di viaggio e alla sera si arriva stanchi e affaticati. Si viaggia in media a 40-50 Km/h dove si può e si procede ancor più lentamente dove non si può. Occorre poi buon spirito di adattamento per il vitto e alloggio: le strutture fuori Leh, talvolta si riducono a campi tendati ad altitudini sopra i 4000 metri, dove di notte fa freddo e si fatica a prendere sonno.

LA MOTO

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Una sola: Royal Enfield 500 Classic. E ho detto tutto. Moto essenziale, spartana, primordiale, ma, a mio avviso, bellissima e perfetta per queste strade. Inoltre è leggera, facilmente trasportabile “di peso” quando la strada è stata divorata dal fiume, bassa il giusto per consentire di controllarla in ogni situazione. Praticamente non fa differenza lo sterro o l’asfalto, lei va sempre come un trattore, senza soluzione di continuità.

Dimenticatevi le finezze a cui tutti siamo abituati, l’elettronica e la potenza. La moto va piano ma va lontano, anche se il battito al minimo è lento come quello cardiaco, anche se non frena, anche se la meccanica è quella di una moto del secolo scorso. Eppure, con rincorsa, sono riuscito a farle toccare i 109 km/h: un record!

Desideravo cavalcare questa motoretta e, a dirla tutta, vorrei averla in garage.

Il percorso di viaggio in formato gpx (per navigatori Garmin) e kml (per Google Earth) è scaricabile QUI

* * *

Ciò premesso, inizio il report di questo viaggio non proprio dietro casa.

GIORNO 1 - 05 AGOSTO 2017
Verona – Delhi ( zero km in moto)

Per risparmiare il più possibile affronto il trasferimento aereo con Lufthansa che si è dimostrata la soluzione più economica, anche se spezzata in tre voli.

Il mio bagaglio è ben compresso negli 89 litri di una sacca stagna giallo fastidio più una borsa da serbatoio come bagaglio a mano.

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Il primo volo parte da Verona alle 6:45 del mattino e arriva a Monaco un’ora dopo. E’ sempre bello vedere le Dolomiti dall’alto: queste, ad esempio dovrebbero essere le Dolomiti di Brenta.

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Sono ancora bello gasato e fresco, ma la strada è ancora lunga.


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A Monaco, ho tutto il tempo per imbarcarmi verso Francoforte. L’aeroporto è ben organizzato e alle 10:00 prendo il secondo volo. Lo scalo dove atterro è bello grosso, ma il cambio terminal è agevole grazie ad un trenino elettrico automatico.

Ho un po’ di tempo che trascorro gironzolando e facendo colazione.

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Qui sono proprio avanti! C’è spazio per tutti…

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Alle 13:55 parte il terzo volo. Na palla che vi risparmio. Non ho mai viaggiato su un areo così grande e per passare il tempo guardo le nuvole… fino a quando si vedono

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Vedo la Russia e il Kazakistan dall’alto, e un pezzo di Uzbekistan, ma è già buio pesto sopra l’Afganistan e il Pakistan, quindi dormo.

Verso mezzanotte si intravedono le luci indiane... [CONTINUA se lo volete]

Sali 25-08-2017 12:54

:D Vogliamo, vogliamo... :D

lollopd 25-08-2017 12:58

vai vai!!!!!!!!

Massimo 25-08-2017 12:58

GIORNO 2 - 06 AGOSTO 2017
Delhi – Leh (km in moto zero)

Atterro all’una del mattino stufo agro.

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L’aeroporto internazionale di Delhi è immenso e pieno di gente.

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Espletati i controlli doganali, lunghi e noiosi, cerco un modo per spostarmi al terminal dei domestic flights che sta da tutt’altra parte. Qui, col cacchio, che hanno i trenini elettrici, per cui esco, chiedo, mi mandano al pilastro 13 dove su un banchetto di scuola due tizi mi danno un biglietto gratuito e mi dicono di aspettare l’autobus al pilastro 10.

Arriva un trabiccolo arrugginito pieno di gente con autista, bigliettaio e soldatino a bordo, che districandosi nel traffico notturno di Delhi mi porta incolume all’altro terminal.

Ho tutto il tempo che mi serve perché il quarto e ultimo volo parte alle 6:40 del mattino… e fa già un caldo bestia.

La vista sulle montagne che sbucano dalle nuvole è però emozionante.

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Atterrare a Leh non è facile perché le montagne attorno non offrono grandi spazi per scendere di quota. Ma il pilota conosce bene il suo mestiere e infine atterra perfettamente.

Perdendo quota vedo la valle dell’Indo.

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E nell’aeroporto girano i trattori.

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Incontro altri tre partecipanti (giunti direttamente dal Nepal) e tutti veniamo trasferiti in Hotel: un semplice alberghetto fuori dal centro di Leh dove il giardino è in realtà un orto.

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Gli altri arrivano alla spicciolata, ed anzi c’è chi è già arrivato il giorno precedente.

Il pomeriggio viene trascorso a riposare e a gironzolare per Leh, cercando di abituarsi all’altitudine, che già qui (siamo a 3500 metri) non è proprio uno scherzo.

Il paesello è già di per sé un bell’impatto, ma piacevole e rilassato con tanto di vacche sacre (e dunque incommestibili) a spasso…

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… monaci, negozi più o meno improvvisati e bandiere da sagra di paese un po’ dappertutto.

Qui ero in tinta con loro e non potevo esimermi.

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Alla sera, non ho ancora preso coraggio ad affrontare la cucina indiana (che personalmente non gradisco) per cui vado di pizza ladakha e caffettino. Ebbene sì ho fatto il classico italiano all’estero!

Al ristorante vendono anche la carta igienica (sono i rotoli sopra le nostre teste).

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[CONTINUA se lo volete]

ennebigi 25-08-2017 13:11

Vvvvvvvvaaaaiiiiiii!!!!!!!

Lucavolvo 25-08-2017 13:24

Vai vai!!!!


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GIGID 25-08-2017 13:41

Ladakh 2017 - La strada verso il cielo 2 (FOTO e REPORT)
 
Che spettacolo Massimo ...e che invidia ....amo l'India e amavo i viaggi avventurosi ....mi hai fatto tornare in mente le Ande in fuoristrada in solitaria con mia moglie .... i problemini con l'altezza ....vai vai ....


Inviato dal mio iPhone utilizzando Tapatalk

Alessio gs 25-08-2017 13:44

Bello bello....ciao....

ValeChiaru 25-08-2017 16:00

Mille grazie per renderci partecipi di questo "spettacolo"!!!

vitone44 25-08-2017 18:03

Siamo in attesa , facci sognare !!!!

Sanny 26-08-2017 17:50

Massimo ciao,...di pure che Donato qualche viaggio simile lo ha fatto con la sua Harley Davidson dyna

Smart 26-08-2017 19:03

c'è un sito/contatto per vedere i prossimi viaggi in programma? anche in mp

aspetto il seguito....

Sanny 26-08-2017 19:20

Cerca donato nicoletti...
Ora non ricordo il link..

Massimo 27-08-2017 18:29

GIORNO 3 - 07 AGOSTO 2017
Leh – Leh (66 km in moto)

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Giornata dedicata al noleggio moto e al test su strada.

Il gruppo è formato e prontissimo.

Oltre a Donato, c’è Roberta (sua compagna di vita e fotografa professionista); poi ci sono Luca e Federica (motociclisti navigati e coraggiosi), quindi Antonio (biker tranquillo e meditativo, che forse un giorno diventerà Buddha) e Alberto (pacifico e solare, che vede sempre il lato positivo delle cose). Poi ci sono Paola e Stefania (che in teoria avrebbero dovuto sedere sul pick up di appoggio, ma che non hanno resistito a fare le passeggere). Infine ci sono io.

In tutto nove dunque, con l’acceleratore a tavola e il freno tirato.

Di buon mattino viene a prenderci un pick up e ci porta nel traffico dell’ora di punta di Leh dal noleggiatore.

Io trovo posto sul cassone e, per immedesimarmi nella situazione, già mi metto il casco.

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Il sito internet del noleggiatore era stra figo: chissà che razza di struttura avremmo trovato!

Invece, ivi giunti, ci troviamo in un’officina su una strada sterrata fatiscente ai margini della cittadina. Dentro, una moltitudine di ragazzetti trafficano con le moto, alcune mezze smontate, altre già pronte per il noleggio.

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Erano i meccanici!

Avete presente quando da ragazzini smanettavamo con il ciao? Quando lo smontavamo, lo rimontavamo, lo provavamo? Ecco su per giù l’atmosfera era questa. Eppure sti ragazzetti sapevano dove mettere le mani… e i pochi ferri di cui disponevano.

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Troviamo dunque le nostre cinque belve pronte e subito proviamo ad accenderle.

Dopo qualche aggiustamento al minimo e l’applicazione dell’accrocchio per montare il gps e per alimentarlo, saliamo in sella e partiamo per il nostro test.

Prima volta che vedo la targa anche davanti… scritta con la biro, su una moto con lo scarico aperto (si fa per dire).

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Qui mi sembrava che l’arancio con il blu stesse bene, e mi sono messo in posa plastica. Che bel pezzo di ferro!

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Risaliamo la placida e sonnacchiosa valle dell’Indo verso sud-est fino al Monastero di Thiksey. La confidenza con i nostri trattorini è ancora acerba, ma vanno e questo è l’importante. Inoltre sono veramente facili da guidare e scopro che la frizione, volendo, nemmeno serve per cambiare.

Thiksey Gompa è il mio primo impatto con la religione buddista e devo dire che mi è piaciuto molto.

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C’erano pure una facciotta con la lingua di fuori e un pacioccone tutto dorato.

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Attraversiamo quindi l’Indo su un ponte con tavole di legno e un sacco di bandierine da sagra.

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Sullo sfondo si vede il Monastero di Stakna, appollaiato su una montagnetta, che però non visitiamo.

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Ci dirigiamo infatti allo Shanti Stupa che domina la città proprio sopra il nostro albergo. Si tratta di un tempio costruito nel 1991 da un gruppo di monaci giapponesi per promuovere la pace nel mondo.

Io mi sento in pace con me stesso (oltre che con il mondo) e faccio un salto.

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Alla sera, secondo giropizza ladakho. Non me la sento ancora di affrontare il cibo indiano. Dovrei vergognarmi, lo so, ma proprio non mi va giù.

Tenute a battezzo le moto, domani inizia il tour e si comincia a fare sul serio…

elikantropo 27-08-2017 19:33

Atendo (im)paziente.

Massimo 28-08-2017 19:28

GIORNO 4 - 08 AGOSTO 2017
Leh – Lamayuru (127 km in moto)

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Finalmente si parte. Usciamo da Leh in direzione sud ovest per prendere la NH1.

Subito ci rendiamo conto dell’enorme spiegamento di forze armate in quest’area di confine. Praticamente fuori dalla città è tutto un susseguirsi di caserme, soldati e mezzi militari. Il traffico in divisa è veramente intenso e la viabilità è principalmente funzionale a questo.

La presenza militare mi è sembrata addirittura ben più massiccia di quella incontrata nel 2011 lungo il confine tra Turchia e Iraq, il che è tutto dire.

Sono noti i rapporti non proprio idilliaci tra India, Pakistan e Cina. I confini sono da sempre controversi e non chiarissimi nemmeno sulla carta. Da decenni prosegue una sorta di guerra di posizione a presidio della border line. Se per assurdo, le forze armate indiane se ne andassero, che ne so, i cinesi o i pakistani potrebbero anche entrare ed occupare una valle, un passo, un crinale.

Di che cosa se ne facciano di questa terra arida e povera faccio fatica capirlo, però - come si sa - nella storia l’espansione territoriale è sempre stata la molla di molte invasioni.

Le vittime morte sparate sono assai rare, ma mi è stato riferito che ogni anno circa 3-400 soldati indiani muoiono, soprattutto d’inverno e per fenomeni naturali, come slavine, valanghe, freddo.

Insomma questi sono rimasti a quel che accadeva da noi nella Grande Guerra, dove la morte bianca aveva mietuto purtroppo tante vittime.

Tutte le truppe sono tirate a lucido, divise nuove di pacca e mezzi militari pure. Il governo indiano deve spendere per tutto sto ambaradan somme veramente importanti… facendo contenti tutti, sia ad alti che a bassi livelli.

Con la difesa ci guadagnano tutti: i vertici politici e militari, le aziende fornitrici degli armamenti e pure i soldati che hanno la pagnotta assicurata. E non solo. Anche i civili in estate hanno da lavorà: moltissimi infatti vengono impiegati per la manutenzione delle strade.

Migliaia di ladakhi preparano le massicciate rompendo i sassi con martello a mano per ridurli in stabilizzato oppure scavano le trincee a bordo strada per la posa delle condutture elettriche con piccone e badile.

Due ruspe farebbero prima e meglio, ma forse costerebbe di più e soprattutto non ci sarebbe una mazza da fare per la popolazione.

Insomma così è. In ogni caso la presenza militare non disturba più di tanto. I soldatini fanno il loro lavoro: spostano truppe da una parte all’altra, fanno voli di ricognizione… insomma normale routine. Nelle zone più prossime ai confini caldi ci sono poi vari check points, per cui bisogna avere i permessi a posto. I soldatini non sono comunque molesti, né prepotenti: ci sono, controllano, salutano con la manina e lasciano fare.

Ciò detto, appena fuori Leh, inizia subito una zona arida, una sorta di deserto d’altura ondulato e roccioso, pressoché disabitato. Guidiamo rilassati e iniziamo a capire perché in Ladakh vada di moda tra pedoni, ciclisti e motociclisti la mascherina sulla faccia…

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Di catalizzare il parco veicolare non se ne parla proprio, ma noi proseguiamo sui nostri trattorini tutti contenti e rilassati parlando del più e del meno.

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Il paesaggio qui fa molto far west americano e non c’è neanche una pianta a pagarla oro.

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Poco prima del villaggio di Nimmoo la strada compie un’ampia svolta verso sud proprio dove il fiume Zanskar si immette nel grande Indo. La strada sale un poco ed offre una bella visione proprio sul punto di immissione.

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Poco più avanti ci fermiamo a mettere qualcosa sotto i denti. Sto giro mi tocca per forza cibo indiano, ma forse sono fortunato: il modenese d’hoc qui sotto prepara il gnocco fritto!

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Troppo bello per essere vero. Infatti non è vero.

Il gnocco non è quel che sembra e viene farcito con verdura e poi rifritto. Piccantino ma commestibile, però non c’era lo squacquerone.

Proseguiamo sempre in direzione ovest per andare a visitare il Monastero di Likir che giace appollaiato in una valletta laterale sulla destra (è quel balocco bianco in centro nella foto qui sotto).

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Bello colorato con tanto di tamburi e accappatoi.

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C’è anche qui il solito pacioccone dorato stimolatore di salti.

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Poco fuori dal monastero incontriamo un piccolo buddha che si lascia immortalare dalla nostra affascinante reporter bionda mediterranea.

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Riprendiamo la NH1, che scorre come l’olio sotto le ruote dei nostri trattori.

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Ogni tanto si parcheggia come si può dove non si può.

Sai come è, di spazio ce ne è poco e non vorrai mica mettere un camion giù di strada! Molto meglio lasciarli SULLA strada. E non uno, ma tre!

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Tanto con la moto ci si può passare in mezzo.

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Evvaiiii! Non ce ne sono altri? No?! Peccato…

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Poco dopo Khalsi la valle dell’Indo tiene la destra e noi puntiamo invece a sinistra alla volta della vicina Lamayuru. C’è un check point gestito da un ceffo poco simpatico che se ne sta appollaiato sulla sua casermetta soprelevata. I documenti sono a posto. Possiamo passare.

La nostra strada asseconda sopraelevata un altro affluente del fiume e tra una curva e l’altra ci accompagna fino a Lamayuru mentre il sole colora queste strane montagne di pongo.

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Direi che ci può stare un altro salto.

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A Lamayuru troviamo posto nell’alberghetto prenotato. Ci si entra a spinta ed è molto carino anche se spartano.

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Ceniamo sotto un tendone sotto l’alberghetto e troviamo pure la birra (che mi creerà però nella notte una brutta congestione). E per forza: era scaduta, come tutte le bevande confezionate che si trovano da queste parti.

Mi fermo fino a notte fonda a parlare con il ragazzo che lavora in hotel. Viene dal Nepal, assieme ad altri due, a fare la stagione. Ha una moglie e due figli e ci impiega una settimana di viaggio per tornare a casa. Vado a dormire sentendomi fortunato.

Fino a Lamayuru arrivano un po’ tutti, giri organizzati compresi. I più tornano a Leh in giornata, qualcuno si ferma a dormire ma comunque ripiega poi su Leh il giorno seguente. Quasi nessuno invece prosegue per la NH1 ancora verso ovest verso il Kashmir indiano, che è terra contesa e talvolta turbolenta, pressoché totalmente mussulmana e non buddista.

Che sia anche una terra proibita?

Staremo a vedere cosa ci aspetta domani… buona notte Ladakh.

Alessio gs 28-08-2017 19:42

Molto bello davvero... ciao...

vitone44 28-08-2017 21:32

belle foto !

brontolo 29-08-2017 20:35

Avevate con voi un satellitare?:lol:

ettore61 29-08-2017 20:58

attendo...............

ZAGOR 30-08-2017 18:33

Bellissimo complimenti !:D:D:D
(altro viaggio da mettere nel cassetto)

ettore61 30-08-2017 20:23

allora, siamo qui in ansia, dove sei finito.....

Massimo 30-08-2017 20:27

Ci sono. Sto preparando la prossima puntata, che è bella polposa (spero)

Massimo 31-08-2017 19:26

GIORNO 5 - 09 AGOSTO 2017
Lamayuru - Kargil (104 km in moto)

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Passo una notte in bianco per via della birra scaduta. Al mattino presto decido di risolvere la faccenda in maniera drastica: due dita in gola e via.

Mi sento subito meglio ma decido per prudenza di non visitare il Monastero di Lamayuru all’alba, che ci sta proprio sopra la testa su uno zoccolo roccioso in stile Meteore. E’ un peccato perché potevo assistere alla preghiera del mattino cantata in monachese.

Salto pure la colazione. E finalmente si parte: direzione Kashmir. Non prima però di aver salutato nonna Gina, tutta felice che ce ne andiamo fuori dalle balle.

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Per mettere il becco in Kashmir bisogna scavalcare in sequenza due passi il Fotu La (4108 m) e il Namika La (3700 m). Il primo attacca subito dietro il paese con una prima serie di tornanti.

La strada prosegue poi per un lungo altopiano brullo e arido salendo moderatamente di quota.

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Una sosta di cazzeggio e una foto, giusto per non dire che stiamo salendo troppo velocemente, dati i razzi nucleari di cui disponiamo.

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In giro c’è poco traffico; solo qualche camion gironzola per queste montagne.

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Inizia quindi una seconda serie di tornanti, tutti attorcigliati tra loro che si fanno fotografare vanitosi dall’alto. E’ una goduria guidare, anche se - con sti trattori che ci troviamo sotto le chiappe – più di tanto non possiamo “apprezzare” (mettiamola così) tutto sto po’ po’ di serpentine.

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Più in alto la valle (e la strada) rendono meglio l’idea degli spazi.

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E poi, la targa con la biro, anche davanti, ha sempre il suo bel perché.

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Purtroppo la giostra finisce presto e arriviamo al passo: poche moto, qualche ciclista indiano e le solite bandierine colorate. Quindi le foto di rito (non si dica mai che sto contando frottole e che mi sono inventato tutto).

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Il nostro Antonio, che di buddismo se ne intende, è sempre a suo agio in mezzo alle bandiere. Va che contento!

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La discesa sul versante ovest è pressoché priva di tornanti e quindi possiamo cazzeggiare con la goproz in mano, cosa che ci viene benissimo.

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Più avanti, prima di attaccare il Namika La, si apre alla nostra sinistra una forra: chissà dove porterà…. di certo non con mezzi a motore, perché quella che sembra una strada in realtà è una canaletta di cemento per la raccolta delle acque.

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Ogni tanto incontriamo qualche paesello, dove c’è chi gira per strada con una pentola in mano tutto felice. Contento lui, contento anch’io.

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Il nastro d’asfalto, devo dire qui ben tenuto, scorre placido tra le montagne e noi guidiamo belli rilassati, distanziati e a volte appaiati.

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Il re dei minchioni comunque sono io e qui si vede benissimo.

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Arriviamo dunque sul Namika La, e anche di questo “ci ho” le prove.

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Che cosa ci troverà Donato a ciucciare la liquirizia per me rimane ancora un mistero…

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Ora ci tocca l’ultima discesa, sempre in direzione ovest. Siamo quasi ai confini occidentali dell’area buddista, che tra pochi chilometri finirà. Il paesaggio è sempre secco incendiato e di piante ovviamente neanche l’ombra.

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Per fortuna stanno invece all’ombra sti poveretti che scavano a mano le trincee per la posa delle condotte elettriche a bordo strada… ma non mi sembra che si stiano ammazzando di fatica.

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La pappatoia oggi si terrà a Mulbek, che segna il confine esatto tra il distretto di Leh e quello di Kargil, e quindi tra l’area buddista e quella mussulmana dello stato di Jammu e Kashmir, dove appunto si trova il Kashmir indiano.

Neanche a farlo apposta - proprio qui, sul confine – i missionari buddhisti, nell’ottavo secolo, avevano scavato nella roccia viva un Buddha di nove metri… giusto per far capire fin dove erano arrivati.

Probabilmente non erano riusciti a proseguire oltre. Vai a capire perché… fatto sta che questo è l’ultimo avamposto del pacioccone dorato.

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Da qui in avanti finisce la sagra delle bandierine da sagra. E di buddisti e di monaci non ne incontriamo più. Signore e signori siamo entrati ufficialmente in Kashmir.

Intendiamoci non è che sia un altro mondo (il paesaggio è su per giù quello), solo che cambiano la religione e anche i caratteri somatici della popolazione. Di tibetani in pratica non ne vediamo più: tutti fermi a Mulbek a far girare il tamburo della preghiera.

La presenza militare pure qui è massiccia, forse anche di più. In effetti i kashmiri sembrano essere teste piuttosto calde e per tenerli a bada bisogna essere in tanti.

Ma dico io, ci sono migliaia di soldati sparsi da per tutto. Che senso ha spostarli continuamente da una parte all’altra? Sarà che i camion Tata sono belli da guidare?

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Arriviamo infine a Kargil e ci sistemiamo in albergo sul fiume, con le moto parcheggiate al sicuro in rigoroso parallelismo.

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L’albergo sembra figo, ma in realtà dispone di acqua calda ad ore (in teoria) e ha una connessione wifi che funziona a pedali. Comunque pare che sia il migliore della città e vende pure clandestinamente la birra… ma a noi non interessa perché, come potete immaginare, siamo tutti astemi.

Il fiume che attraversa Kargil si chiama Suru ed è un affluente del grande Indo, nel quale si immette però in territorio Pakistano, qui vicinissimo.

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Infatti la cosiddetta “line control” (ovvero la linea di demarcazione militare che divide le zone del Kashmir controllate dall'India da quelle controllate dal Pakistan), sta ad appena nove chilometri da noi, ma la zona è rigorosamente off limits. Sulle creste sopra le nostre teste continua infatti dagli anni quaranta una guerra di posizione senza fine… e senza senso.

Il Kashmir, per chi non lo sapesse, non è conosciuto solo per le famose lane, ma anche per il suo triste e dimenticato conflitto.

La sovranità di questa regione è rivendicata sia dal Pakistan che dall’India, che ne controllano un pezzo ciascuno, mentre la Cina (e ti pareva che non ci fossero di mezzo anche i cinesi) rivendica un altro pezzo, e cioè la zona che attualmente controlla, e cioè quella nord orientale.

Tutto il casino è scoppiato subito dopo l’indipendenza dai Britannici, allorquando vennero costituiti i neo stati dell’India (a prevalenza induista) e del Pakistan (a maggioranza marcatamente islamica).

Il Kashmir, che stava nel mezzo, era governato all’epoca da un Maharaja induista, ma la popolazione, come detto, era quasi interamente mussulmana e quindi, potete immaginare, stra felice di essere governata da un infedele.

Il Maharaja scelse ovviamente di annettere tutto il Kashmir all’India, ma il Pakistan altrettanto ovviamente non riconobbe tale annessione (anche perché già occupava e considerava cosa propria un terzo del territorio).

A distanza di settant’anni i soldati indiani e pakistani restano a fronteggiarsi sulla line control che tuttora divide il Kashmir in due zone.

Tra i due litiganti il terzo però non gode. Infatti i Kashmiri non vogliono stare con nessuno dei due contendenti, ma vogliono l’autonomia… che è piuttosto un’utopia, perché qua nessuno è disposto a mollare.

E quindi si va avanti così: ogni tanto scoppiano casini, rivolte e bombe; ci si mettono pure terremoti e alluvioni… altro che lane pregiate.

Questo è il quadro generale della regione, ma noi troviamo Kargil vivace e tranquilla. I bambini tornano da scuola con i loro zainetti colorati, la via principale brulica di botteghe e negozi, le donne portano il velo e non il burka (anche se non si lasciano fotografare facilmente), gli uomini vestono alla talebana e stanno per strada a non fare una mazza.

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Certo, siamo guardati con curiosità, ma nulla di più. Bisogna tener conto che questa è zona di montagna, e non proprio dietro l’angolo, per cui di forestieri se ne vedono pochi in giro. Comunque l’atmosfera che si respira è tipicamente e decisamente islamica, tutta un’altra storia rispetto al Ladakh buddista.

Alberto trova un calzolaio di strada e riesce a farsi aggiustare gli stivali. Antonio cerca un bagno schiuma, ma qui si lavano con il sapone e basta. Io compro dei biscotti e li pago un centesimo e mezzo di euro.

Senza volerlo però abbiamo creato più di qualche turbamento. Paola, che è bionda con gli occhi azzurri (non è mica colpa sua), ha praticamente agitato tutto il paese. Ovunque andasse era radiografata dalla testa ai piedi… e per forza qui di bionde è pieno così!

Guardate per esempio la faccia pirloide del tizio seduto a sinistra.

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Lingue per terra e occhi strabici insomma. Ma si dai, abbiamo movimentato questo sperduto villaggio kashmiro e i cuori (e pure gli istinti) dei maschi autoctoni.

Al rientro in hotel, cena (purtroppo solo e rigorosamente indiana) e poi a nanna.

Ci giunge notizia che la strada che vorremo percorrere domani è franata, per cui il rientro in Ladakh si preannuncia incerto.

Restate sintonizzati…

Massimo 03-09-2017 21:09

GIORNO 6 - 10 AGOSTO 2017
Kargil – Leh (267 km in moto)

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E’ già ora di partire. L’idea era quella di cavalcare l’Hamboting La (4078 m) per raggiungere la valle dell’Indo e quindi risalirla fino a Khalsi, per poi rientrare a Leh per la strada già percorsa all’andata.

Ci viene però confermata la notizia che la strada, dopo il villaggio di Sanjak, è franata e che non è percorribile nemmeno in moto.

In Ladakh bisogna sempre avere un piano B, oppure saperlo trovare. Il nostro piano B non ha nome, però esiste: si tratta di una stretta valle che collega in direzione nord-sud Sanjak a Khangral. Nemmeno Donato ha mai percorso questo tratto, per cui partiamo con un po’ di incertezze, ma non abbiamo alternative.

La variante ci consentirà di attraversare l’Hamboting La e di percorrere la valle dell’Indo nel suo tratto più suggestivo, come programmato, ma ci costringerà a rifare (nell’altro senso) il Fotu La: poco male perché è bellissimo da guidare e lo rifacciamo volentieri. In ogni caso non c’è altra possibilità.

Il percorso sarà tuttavia più lungo di una trentina di chilometri inesplorati, per cui partiamo di buon mattino.

Kargil è stata solo un assaggio di Kashmir, una toccata e fuga che mi ha fatto venire la voglia di tornare, magari con un viaggio ad hoc, magari fino a Srinagar. Sognare per ora non costa nulla e quindi mi metto in marcia con la testa tra le nuvole.

L’Hamboting La è pochissimo frequentato, e non solo dai turisti stranieri, ma anche dagli autoctoni, perché praticamente porta in mezzo al nulla: la valle dell’Indo, in cui si scende dall’altra parte, è pochissimo abitata, in quanto il fiume, in quel tratto, è piuttosto incazzato e, ad ogni stagione, spazza via villaggi e strade; inoltre c’è poco spazio per le coltivazioni, per cui la vita deve essere un filino scomoda.

Di turisti non c’è nemmeno l’ombra, probabilmente a causa del timore reverenziale che incute il Kashmir. Insomma siamo anche oggi fuori dalle rotte classiche del Ladakh. E a me piace un sacco sta cosa…

Attacchiamo dunque l’Hamboting La e Kargil scompare poco dopo dietro le prime curve. La via di salita si arrampica sulla destra idrografica di un vallone, praticamente fino al passo. Il paesaggio, dopo qualche rado boschetto, si fa totalmente brullo (come sempre del resto) e qui pure disabitato.

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Gli unici e rari mezzi a motore sono quelli militari. Ci sono anche i soldatini, che però non riescono a mimetizzarsi nonostante le mimetiche.

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Per il resto incontriamo solo pastori, gruppetti di donne a bordo strada e qualcuno che vaga da solo, non si sa bene dove.

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La strada continua a salire costante; all’asfalto si alternano tratti sterrati, comunque facili. E i nostri trattori vanno che è una meraviglia.

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Alberto trova anche il tempo di fermarsi…

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… mentre il nostro pickup di supporto, un Mahindra guidato dal fido Mustafà, ci segue a distanza.

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Nella parte alta, in dirittura del passo, il paesaggio si fa quasi lunare. Non c’è anima viva.

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Però in cima ne troviamo due di anime: Khomeini e Khamenei, che vegliano sui passanti e che ci ricordano che questa è ancora area islamica. Va che fenomeni!

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Ma anche questi non sono da meno. Vorrei però avere la sua barba.

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Scendiamo, trotterellando senza pensieri, dall’altro versante in direzione est. Gli spazi sono sempre ampi e i panorami grandiosi.

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Più avanti la strada si fa spazio ripida tra le rocce che costituiscono lo sbarramento naturale della sottostante valle dell’Indo.

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E non potevano certo mancare i soliti fancazzari seduti a non fare una beata fava.

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A Batalik troviamo un primo check point. I nostri permessi sono a posto naturalmente e caliamo, ora ripidi, verso il fiume che serpeggia rabbioso nel suo canyon.

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Ci segue sempre a ruota Daitan a bordo del suo camioncino.

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Questo tratto della valle dell’Indo è molto suggestivo. Lo spazio è appena sufficiente per la strada e il fiume… infatti non c’è altro.

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La nostra carovana prosegue in fila indiana fino ad un altro check point in prossimità di un ponte, ma poco dopo siamo fermi.

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Tre povere donne sono intente a spostare sassi mentre gli uomini dietro le guardano. Non potevamo mica essere da meno! E così mandiamo le nostre donne a dare una mano, mentre noi, sempre per non essere da meno, le guardiamo senza muovere un dito. Così siamo pari con gli altri!

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Liete di poter servire… come direbbe l’uomo bicentenario. Va che soddisfatte!

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Sgomberata la strada proseguiamo lungo l’Indo fino all’incrocio di Sanjak.

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Facciamo pochi metri e… alt! E’ qui la frana insuperabile che ci avevano preannunciato. Facciamo dietrofront fino all’incrocio e ci immettiamo per l’ipotesi B. Altro check point, il terzo, che ci lascia passare (e meno male altrimenti ci toccava tornare indietro fino a Kargil).

Affrontiamo la valletta incognita. Qualche grappolo di case, un torrente agitato e nient’altro. A metà strada incontriamo però due bimbi con il nonno. La piccoletta, che deve essere bella tremenda, non parla, ma i suoi occhi neri parlano per lei. E guai a toglierle di mano il suo biscotto!

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Qualche curva e ci ritroviamo a Lamayuru con il suo monastero appollaiato che sorveglia il paese.

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Al margine dell'asfalto vedo un piccolo fagotto. Avvicinandomi in moto mi accorgo che è un bambino rannicchiato per terra, anzi seduto a gambe incrociate.

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Era completamente da solo, ai margini della strada. Avrà avuto sì e no quattro anni. Si era tolto una scarpa e la riempiva come se fosse un camion per trasportare la ghiaia che aveva lì intorno.

Non aveva altro, ma era tutto intento a giocare con la sua scarpa. Mi sembrava felice. Non mi sono fermato per fotografarlo, né per parlare con lui. Avevo paura di rompere la magia di quel momento. E tale è rimasta.

È il ricordo più intenso che porto con me da questo viaggio…

Donato percepisce che ho bisogno di stare da solo, lo sorpasso e lo distanzio. Mi lascia fare.

Guiderò per un’ora completamente solo fino quasi a Leh. Il sole sta tramontando, le luci sono radenti, il cielo è luminoso e limpido. Tutto si amplifica, si dilata. Mi sento bene, incredibilmente bene. E per un po’ colgo tutte le emozioni, esageratamente potenti, che ritrovo ogni volta che viaggio da solo.

Grazie Donato di aver compreso il momento.

Alla sera, rientrati in albergo e docciati, gironzoliamo per il paese semi deserto. Qualche negozio è ancora aperto non si sa bene per chi.

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Che ne dite? Stasera ci potrebbe stare un’altra pizza. Cerco la cucina, ma non trovo il pizzaiolo.

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E per forza! Vorrai mica che facciano la pizza in cucina! Hanno la pizzeria, mica sono improvvisati questi!

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Perplesso, attendo che mi arrivi…

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Domani si riposa tutto il giorno. Poi si ripartirà per la parte più impegnativa di questo viaggio…


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